A 27 anni di
distanza, nelle regioni contaminate dal fallout di Chernobyl, le persone
continuano ad ammalarsi e i bambini a morire per cancri e leucemie. Fra
le tante Chernobyl (e adesso Fukushima) dimenticate, ci siamo imbattuti
- a distanza di 24 anni - in una Chernobyl tutta italiana.
Massimo Bonfatti*, Paolo Scampa**
Nel nostro lavoro
di ricerca di classificazione degli incidenti nucleari, siamo soliti
ricercare - per formazione e per quanto possibile - i dati di reale
incidenza sull'ecosistema e sulla salute dei residenti. La
vicenda di Rovello Porro, però, ci ha colti di sorpresa e non ne
abbiamo capito subito la portata, anche perché ci siamo trovati in
presenza di una documentazione che ci ha reso attoniti per la sua
carenza e per la difficoltà di venirne in possesso, pur essendo avvezzi
alle censure in
merito.
Scegliendo, però,
di non abbandonarci ad una teorica cultura del sospetto o a semplici
ragionamenti dietrologici, abbiamo cominciato a volerne sapere di più
estrapolando i maggiori dati possibile dalle poche informazioni
presenti, facendo calcoli e proiezioni. E subito si è impossessato di
noi un grande senso di apprensione e preoccupazione che ci porta oggi a
chiederne spiegazioni e ragioni: è possibile che, in 24 anni e dopo 24
anni, il silenzio sia l'unica giustificazione ad una situazione
radiologica che, dall'interpretazione dei dati, sembra ancora oggi di
una gravità che confina col criminale?
Nel 1989 un
grave incidente nucleare si è consumato alla Luigi Premoli e figli Spa,
fonderia che forgiava i telai dell'Alfa 133 a Rovello Porro in
Lombardia, tra Como e Saronno: una fonte radioattiva orfana, contenuta
in un carico di alluminio proveniente dall'Est Europa ed equivalente a
una sorgente radioattiva stimata tra i 600 e i 6.000 Curie di Cesio 137
(pertanto da 8 a 80 volte superiore a quella di Algeciras in Spagna) fu
inavvertitamente fusa, immettendo nell'aria una enorme quantità di
particelle radioattive altamente nocive, senza che nessun allarme
scattasse.
Questa "fuga"
nucleare, di cui non si conosce la data certa, è venuta alla luce -
secondo la versione ufficiale - nel 1989, in seguito a un controllo
radiologico di routine delle acque del Po eseguito dai tecnici della
centrale nucleare di Caorso: le acque risultarono grevi di Cesio 137 al di là di ogni aspettativa e norma e, rispetto
alle ricadute di Chernobyl, con un rapporto isotopico anomalo con il
Cesio 134. Prima che scattassero indagini approfondite, ovvero prima che
vi fosse un'allerta, passarono diversi mesi.
Finalmente,
nel maggio 1990 e dopo aver risalito - come Pollicino - i fiumi col
Geiger, i geologi e i tecnici del Pmip (Presidio multizonale di igiene e
prevenzione) milanese scoprirono che dal bacino di decantazione delle
acque reflue della fonderia di Rovello Porro, situata a pochi metri dal
torrente Lura, erano percolati dai 60 ai 70 Curie di Cesio 137: 50
sedimentati nel Lura, nell'Olona e nel Lambro e 10 sfociati nel Po,
circa 100 km più a valle. Una fuga enorme.
In seguito a
questo tardivo riscontro la fonderia di Rovello Porro fu chiusa per
quasi un anno e bonificata "alla meno peggio": varie tonnellate
d'asfalto, di terra e di detriti contaminati prelevati in loco furono
traslocati nell'attualmente percolante discarica nucleare di Capriano
del Colle (Brescia) che, confinando 39 Curie di Cesio 137 dispersi
in circa 280 mila metri cubi di materiali, raccoglie i residui
radioattivi di varie industrie. Rapportando i 50 Curie depositati nei
corsi d'acqua alla superficie dei fondali che si distendono per 100 km
dalla fabbrica alla congiunzione con il Po, si può quantificare un
deposito uniforme medio di 1,22 milioni di Becquerel/mq pari a 32,89
Curie/kmq di Cesio 137. É di fatto un
tasso di contaminazione al metro quadro (e al kmq) che, per il Cesio
137, sorpassa di ben 2,19 volte la norma internazionale (555.000
Becquerel/mq ossia 15 Curie/km2) che obbliga a confinare il luogo in
quanto zona proibita e che impone, tra l'altro, l'assoluto divieto di
pesca e di pompaggio agricolo delle acque. Ma nulla è mai trapelato, e nessuna mappa dettagliata della contaminazione radioattiva dei corsi d'acqua è stata pubblicata. A
24 anni di distanza, sebbene l'attività radioattiva si sia ridotta del
42%, la contaminazione atomica risulta ancora di circa 700.000
Becquerel/mq e quindi, a tutt'oggi, 1,26 volte superiore al valore
imperativo di evacuazione della zona: si dovrebbe trattare, pertanto, di
una zona acquifera proibita. Ma, per quanto ne sappiamo, nessuna misura
preventiva a tutela della popolazione è stata presa. E non è tutto!
Una radioattività ben maggiore dovrebbe essersi sprigionata con i fumi della combustione. Come
a Goiânia in Brasile e Algeciras in Spagna, l'incidente di Rovello
Porro ha fatalmente liberato grandi quantitativi di Cesio 137 nell'aria:
di ciò non c'è riscontro da nessuna parte, anche se, grottescamente, si
parla di fallout come fenomeno limitato al perimetro dell'azienda,
nonostante gli esperti dell'epoca stimassero trattarsi della fusione di
una sorgente dai 600 ai 6.000 Curie. Rovello Porro dista, in linea
d'aria, a meno di 30 km da Milano: supponendo la brutale fusione di una
potente sorgente orfana e facendo un calcolo di tipo conservativo, cioè
"stemperato" nella sua ipotetica gravità, significa che 500 Curie
uniformemente diluiti nell'aria in un'invisibile colonna iniziale di
fumo lunga 30 km, larga 2 km e alta 1 km (30.000*2000*1000 = 6E10 mc)
equivalgono a 308 Becquerel/mc di Cesio 137 inalato da decine di
migliaia di soggetti e 6.000 Curie fanno 3.700 Becquerel/mc di Cesio 137
inalato da altre decine di migliaia di soggetti. Dopotutto,
500 Curie di Cesio 137 (5,76 grammi) rappresentano, per inalazione, un
potenziale letale acuto ("alla Litvinenko") per quasi 18.000 soggetti e,
per ingestione, per più di 48.000; 6.000 Curie (69,09 grammi)
rappresentano più di 210.000 dosi letali per inalazione e più di 510.000
per ingestione. Si sa che una ricaduta perfetta di 500 Curie è in grado
di trasformare in zona proibita un'area di 33,3 kmq e 6.000 Curie
un'area di 400 kmq.
Vorremmo essere
smentiti in questi nostri calcoli teorici e, pertanto, chiediamo alle
autorità competenti che ci certifichino che nessun particolato
radioattivo è uscito dai camini dell'altoforno. Ne trarremmo un
grande sospiro di sollievo, ma purtroppo né la logica della fusione
metallurgica che fa degli effluenti aerei la principale via di fuga del
Cesio, né i conti d'inventario tornano: è troppo chiedere spiegazioni
sul destino dei possibili 600 o 6.000 Curie di Cesio che non si
ritrovano sommando la radioattività depositata nei corsi d'acqua (circa
60-70 Curie) a quella dei detriti smaltiti (circa 30 Curie)? È
troppo chiedere se una nube radioattiva, qualora fosse stata originata
da un singolo episodio di fusione di Cesio e - fra l'altro - più
concentrata di quella pervenuta in zona da Chernobyl, si sia diretta in
Svizzera o in Francia oppure se si sia diretta verso la vicinissima
Milano? È troppo chiedere la prova che dimostri se i ratei Cesio
137/Cesio 134 delle radioanalisi eseguite in quella zona dopo il 1989
presentassero valori anomali (deficit di Cesio 134) rispetto a quelli
allora attesi di Chernobyl? È troppo chiedere di conoscere lo stato
radiologico attuale della zona che dal Lura, all'altezza del bacino di
decantazione della fabbrica, e che insinuandosi in altri fiumi e
navigli, giunge al Po? È troppo chiedere gli indicatori di morbilità e
di mortalità della popolazione che in quest'area vive? È troppo,
alla luce delle ricerche scientifiche del professore Bandazhevsky,
sapere l'incidenza delle patologie cardiache, rispetto a questi dati di
morbilità e mortalità? È troppo chiedere la certificazione nazionale ed
internazionale della "normalità" del fondo radiologico, a fronte delle
rilevazioni condotte dallo scienziato A. Paris della Criirad che
segnalavano, negli anni 1999/2000, valori di radiocontaminazione
decisamente più elevati per la zona svizzera ed italiana del lago di
Como rispetto alle zone confinanti (forse un "surplus" legato a Rovello
Porro)? È troppo chiedere il rispetto delle norme internazionali di radioprotezione, a cui l'Italia ha aderito, anche
qualora il quadro da noi presentato fosse a tinte meno fosche? Un
grande interesse (come quello, forse, dell'Aiea e dei suoi rappresentati
locali) o altri interessi vari (magari la voluta mancanza di controlli,
l'assolutoria autoreferenzialità e convenienza politica/affaristica,
gli interessi economici di vario tipo e le connivenze locali o di più
alto rango) possono occultare la verità o tacere su rischi, i quali -
trattandosi di radiocontaminazione - per quanto piccoli o limitati
siano, chiedono e richiedono la presa in carico coerente di rigide
misure di controllo e di protezione della salute del cittadino?
Sicuramente
queste domande saranno considerate retoriche e cadranno nel silenzio.
Ma c'è un'aggravante e un vuoto che nessuno riuscirà a colmare: i mesi
(secondo alcuni, un anno) che sono passati dall'incidente alla sua
scoperta. Per questa "amnesia", per questa colpa dolosa nessuno pagherà.
Come sul versante Chernobyl in Bielorussa, per Lukashenko e l'Aiea non
esiste nessun rischio radioattivo dopo oltre 20 anni dall'esplosione del
reattore numero 4, così e a maggiore ragione, lo è e lo sarà anche per
questa popolosa parte d'Italia, ormai a distanza di 24 anni dalla
fusione radioattiva a Rovello Porro. La letargica politica in materia di
radioattività (vedi anche il recente caso dei cinghiali radioattivi) può continuare... e poi l'incidente di Rovello Porro è addirittura del secolo scorso. Vale la pena preoccuparsene?
*Mondo in cammino, **Aipri (Associazione internazionale protezione raggi ionizzanti)
Fonte: http://www.greenreport.it
Link:http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=%2021238
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