« Ogni giorno di più mi convinco che lo sperpero della nostra esistenza risiede nell'amore che non abbiamo donato. L'amore che doniamo è la sola ricchezza che conserveremo per l'eternità »

GUSTAVO ADOLFO ROL



domenica 28 ottobre 2012

Il Pacific Trash Vortex, un continente di plastica!


http://www.sifconference.com/pacific-trash-vortex-lisola-di-plastica/1901

Vien da dire: è’ la nostra civiltà bellezza! ndr
Nelle acque dell’oceano Pacifico, a 800 miglia dalle Hawaii, c’è un isola, più grande delle altre, formata da spazzatura galleggiante composta, per lo più, da plastica.
Il Pacific Trash Vortex, il vortice di rifiuti del Pacifico, è un enorme mulinello scoperto nel 1997 da Charles Moore che vi si è trovato in mezzo mentre navigava a bordo del suo catamarano.
E’ la più grande discarica a cielo aperto esistente, ed è formata da milioni di tonnellate di rifiuti galleggianti provenienti da tutto il pianeta, per una superficie che, a seconda delle fonti, varia da 700.000 a oltre 10 milioni di Km quadrati: da poco superiore alla Spagna a due volte gli Stati Uniti.
L’isola di rifiuti, composta per l’80% da plastica, secondo una ricerca svolta da Algalita Marine Research Foundation, ha un peso di circa 3 milioni e mezzo di tonnellate.
Questa enorme chiazza di immondizia ha iniziato a formarsi a partire dagli anni ’50 a causa
dell’azione della north Pacific subtropical gyre (vortice subtropicale del nord Pacifico): una corrente situata tra l’equatore e 50° di latitudine nord, il cui movimento a spirale in senso orario porta i rifiuti galleggianti ad aggregarsi tra loro.
Questo cumulo di plastica è dovuto, oltre a situazioni eccezionali come il lancio volontario di oggetti fuori bordo in situazioni di emergenza (jetsam) o la perdita di materiale in caso di incidente (floatsam), soprattutto all’abbandono volontario di rifiuti in mare da parte di aziende e città costiere.
I danni a lungo termine che tutto questo provocherebbe sono enormi: con il trascorrere del tempo la plastica si scinde in pezzi sempre più piccoli, che conservano le caratteristiche polimeriche anche quando diventano delle dimensioni di una molecola, rendendo difficile la loro assimilazione. A farne le spese è soprattutto la fauna marina: l’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) ha calcolato che ogni anno muoiono oltre un milione di uccelli e più di centomila tra delfini, foche e balene. Il pericolo maggiore è rappresentato dal rilascio del PCB (policrolobifenili): i molluschi li ingeriscono scambiandolo per zooplancton, che a loro volta vengono mangiati da quelli più grandi fino ad arrivare alla cima di questa catena alimentare dove ci siamo noi. Infatti queste sostanze, non essendo biodegradabili, restano all’interno degli animali che poi dal mare ritroviamo nelle nostre tavole.

Fonte: stampalibera.com

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