di Carlo Musilli
La Tepco non perde occasione per fare brutta figura. L'ultima mirabolante impresa del colosso nipponico che gestisce la disastrata centrale nucleare di Fukushima ha a che fare con oltre 3.000 tonnellate di acqua radioattiva. Vorrebbero scaricarle nel Pacifico senza starci a pensare troppo. Poco importa che si fossero impegnati a ripulire i liquidi dalla contaminazione pesante per riportarli a livelli vicini alla normalità.
"Non c'è tempo", dicono, e in effetti hanno le loro ragioni. Tutti quegli ettolitri finiti nell'impianto numero due provengono direttamente dallo tsunami dello scorso 11 marzo. Quindi si tratta di acqua salata, che rischia di corrodere apparecchi e strutture. Sono a rischio la turbina del reattore e altre parti della centrale che potrebbero contenere piccole quantità di elementi dannosi come il cobalto.
E' anche vero però che non stiamo parlando di Fukushima Daiichi, lo stabilimento semidistrutto dal disastro naturale, ma di Fukushima Daini, una centrale che si trova a circa dieci chilometri dalla sua sorella maggiore e che terremoto e tsunami hanno danneggiato in modo molto meno grave.
Già ad aprile la Tepco ha rilasciato oltre 10mila tonnellate di acqua contaminata nell'oceano, ma in quel caso lo scolo mortifero proveniva dal primo impianto, il più pericoloso. Una giustificazione che comunque non era servita ad evitare che contro la società si scatenasse l'ira funesta di Corea del Sud e Cina.
Tornando ad oggi, spiega Hidehiko Nishiyama, vicedirettore generale dell'Agenzia per la sicurezza industriale e nucleare (Nisa), che supervisiona le attività della Tepco, "l'acqua contaminata presente nell'impianto di
Fukushima Daini contiene elementi radioattivi come il manganese e il cobalto, che solitamente derivano dalla corrosione del metallo, ma elementi come lo iodio e il cesio, che derivano da combustibile nucleare danneggiato, non sono stati rintracciati". Insomma, liberarsi di quell'acqua non è esattamente in cima alla lista delle cose più urgenti da fare.
La Tepco però sembra avere una fretta indiavolata, non si capisce bene perché. Ma a questo punto gli sbrigativi propositi della compagnia incontrano un nemico inaspettato: l'Agenzia nipponica della Pesca. E' inutile perdere troppo tempo a riflettere sul potenziale danno all'ambiente, andiamo al sodo: con l'acqua contaminata non si vende più il pesce.
Sembra la vecchia storia della tragedia che scivola verso la farsa, ma in questo caso l'elemento grottesco è servito almeno ad evitare che si combinasse un secondo disastro per risolvere il primo.
Eppure gli scienziati le provano tutte: come ultima risorsa propongono perfino di utilizzare un minerale speciale (lo zeolite) per eliminare la radioattività. Niente. L'Agenzia della Pesca non ne vuole sapere. E così la Tepco deve fare un passo indietro. A pensarci bene, anche se il problema è serio, non occorre essere degli ingegneri, né dei pescatori, per capire che non lo si può risolvere tirando la catena.
Acqua a parte, con il passare dei giorni (e dei mesi) la situazione di Fukushima non migliora. Solo ieri nei primi due reattori di Daiichi è saltata un paio di volte la corrente elettrica. Miracolosamente la Tepco è riuscita a non interrompere il processo di raffreddamento. Nelle stesse ore il Giappone raddoppiava le stime sulle radiazioni fuoriuscite dall'impianto nella settimana successiva al cataclisma. La Nisa sostiene che in quei giorni furono dispersi nell'atmosfera circa 770mila terabecquerel (unità di misura delle radiazioni). La stima precedente era di 370mila.
Questi dati sono stati pubblicati poco prima che a Tokyo partissero i lavori della commissione di inchiesta indipendente sulla crisi nucleare. Il suo compito sarà di valutare se nelle prime fasi dell'emergenza le istituzioni e la Tepco abbiano messo in pratica tutte le misure di sicurezza più adeguate.
Alla guida della commissione c'è Yotaro Hatamura, professore all'università di Tokyo ed esperto nell'analisi degli errori umani. Nel corso della prima riunione, il professore ha espresso un concetto molto semplice. Anche stavolta, non serviva essere ingegneri per capire quale fosse il punto: "L'energia nucleare è pericolosa ed è stato un errore considerarla sicura".
La Tepco non perde occasione per fare brutta figura. L'ultima mirabolante impresa del colosso nipponico che gestisce la disastrata centrale nucleare di Fukushima ha a che fare con oltre 3.000 tonnellate di acqua radioattiva. Vorrebbero scaricarle nel Pacifico senza starci a pensare troppo. Poco importa che si fossero impegnati a ripulire i liquidi dalla contaminazione pesante per riportarli a livelli vicini alla normalità.
"Non c'è tempo", dicono, e in effetti hanno le loro ragioni. Tutti quegli ettolitri finiti nell'impianto numero due provengono direttamente dallo tsunami dello scorso 11 marzo. Quindi si tratta di acqua salata, che rischia di corrodere apparecchi e strutture. Sono a rischio la turbina del reattore e altre parti della centrale che potrebbero contenere piccole quantità di elementi dannosi come il cobalto.
E' anche vero però che non stiamo parlando di Fukushima Daiichi, lo stabilimento semidistrutto dal disastro naturale, ma di Fukushima Daini, una centrale che si trova a circa dieci chilometri dalla sua sorella maggiore e che terremoto e tsunami hanno danneggiato in modo molto meno grave.
Già ad aprile la Tepco ha rilasciato oltre 10mila tonnellate di acqua contaminata nell'oceano, ma in quel caso lo scolo mortifero proveniva dal primo impianto, il più pericoloso. Una giustificazione che comunque non era servita ad evitare che contro la società si scatenasse l'ira funesta di Corea del Sud e Cina.
Tornando ad oggi, spiega Hidehiko Nishiyama, vicedirettore generale dell'Agenzia per la sicurezza industriale e nucleare (Nisa), che supervisiona le attività della Tepco, "l'acqua contaminata presente nell'impianto di
Fukushima Daini contiene elementi radioattivi come il manganese e il cobalto, che solitamente derivano dalla corrosione del metallo, ma elementi come lo iodio e il cesio, che derivano da combustibile nucleare danneggiato, non sono stati rintracciati". Insomma, liberarsi di quell'acqua non è esattamente in cima alla lista delle cose più urgenti da fare.
La Tepco però sembra avere una fretta indiavolata, non si capisce bene perché. Ma a questo punto gli sbrigativi propositi della compagnia incontrano un nemico inaspettato: l'Agenzia nipponica della Pesca. E' inutile perdere troppo tempo a riflettere sul potenziale danno all'ambiente, andiamo al sodo: con l'acqua contaminata non si vende più il pesce.
Sembra la vecchia storia della tragedia che scivola verso la farsa, ma in questo caso l'elemento grottesco è servito almeno ad evitare che si combinasse un secondo disastro per risolvere il primo.
Eppure gli scienziati le provano tutte: come ultima risorsa propongono perfino di utilizzare un minerale speciale (lo zeolite) per eliminare la radioattività. Niente. L'Agenzia della Pesca non ne vuole sapere. E così la Tepco deve fare un passo indietro. A pensarci bene, anche se il problema è serio, non occorre essere degli ingegneri, né dei pescatori, per capire che non lo si può risolvere tirando la catena.
Acqua a parte, con il passare dei giorni (e dei mesi) la situazione di Fukushima non migliora. Solo ieri nei primi due reattori di Daiichi è saltata un paio di volte la corrente elettrica. Miracolosamente la Tepco è riuscita a non interrompere il processo di raffreddamento. Nelle stesse ore il Giappone raddoppiava le stime sulle radiazioni fuoriuscite dall'impianto nella settimana successiva al cataclisma. La Nisa sostiene che in quei giorni furono dispersi nell'atmosfera circa 770mila terabecquerel (unità di misura delle radiazioni). La stima precedente era di 370mila.
Questi dati sono stati pubblicati poco prima che a Tokyo partissero i lavori della commissione di inchiesta indipendente sulla crisi nucleare. Il suo compito sarà di valutare se nelle prime fasi dell'emergenza le istituzioni e la Tepco abbiano messo in pratica tutte le misure di sicurezza più adeguate.
Alla guida della commissione c'è Yotaro Hatamura, professore all'università di Tokyo ed esperto nell'analisi degli errori umani. Nel corso della prima riunione, il professore ha espresso un concetto molto semplice. Anche stavolta, non serviva essere ingegneri per capire quale fosse il punto: "L'energia nucleare è pericolosa ed è stato un errore considerarla sicura".
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