« Ogni giorno di più mi convinco che lo sperpero della nostra esistenza risiede nell'amore che non abbiamo donato. L'amore che doniamo è la sola ricchezza che conserveremo per l'eternità »

GUSTAVO ADOLFO ROL



domenica 20 gennaio 2013

Mali, la guerra per l’uranio

 Di Nicoletta Forcheri      fonte: stampalibera.com
 
Nell’area vi sono le più importanti riserve mondiali di uranio, oltre a petrolio e gas. L’Italia ha annunciato che darà il proprio sostegno. Intanto il blitz per la liberazione degli ostaggi in Algeria (catturati dai guerriglieri islamici per ritorsione contro la guerra) provoca una strage
“Quel che è certo, è che l’informazione di massa rivela ancora una volta il suo atteggiamento di protezione degli interessi di pochi, a discapito della veritiera informazione giornalistica. Nessuno parla degli interessi dell’elitè economica privata europea in quella zona del mondo. Il chiaro obiettivo di questo tipo di informazione è piegare parte dell’opinione pubblica verso le verità di pochi, giustificando un intervento militare che profuma molto di ricolonializzazione.”
Guerra contro al Qaida o guerra per l’uranio?

di Alessandro Marescotti – Fonte: Peacelink
piantinafrica

Francois Hollande, segretario del Partito Socialista Francese, è l’attuale presidente della Repubblica di una nazione che punta sull’energia nucleare e che è ovviamente dipendente dall’uranio. In Francia sono attive infatti 19 centrali nucleari, per un totale di 58 reattori. Ad essi vanno sommati i reattori nucleari che offrono la propulsione di sottomarini e portaerei della flotta militare. L’uranio è alla base anche delle testate nucleari a cui Hollande non intende rinunciare.
Il governo francese è protagonista in questi giorni di un intervento militare in Mali, giustificato dalla lotta al “fondamentalismo islamico”.Il problema per Hollande è che questi fondamentalisti stanno per controllare un’area ricca di uranio.

Il giornalista Ennio Remondino spiega che la forza militare internazionale vuole “fronteggiare i qaedisti ed evitare il loro radicamento nel nord”. E il Mali ha notevoli giacimenti di uranio proprio nel nord.
Questa guerra neocoloniale non trova tuttavia l’opposizione della sinistra, anzi. Un sondaggio rivela che è approvata dal 68% di quelli della coalizione di sinistra del Front de gauche capitanata da Melenchon (che si è limitato a dire che l’intervento è “discutibile”). Il 77% dei socialisti francesi sostengono l’intervento militare. E in Italia si assiste al sostegno – deciso dal governo dimissionario – senza che nessuna voce di commento si levi, almeno per ora.
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L’Italia guerriera ora anche in Mali

L’Italia è pronta ad un supporto logistico in Mali ”attraverso collegamenti aerei anche per le forze francesi”. Lo ha spiegato il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola al Senato precisando che si tratterà comunque di un supporto logistico e non ‘sul terreno’”. Riguarderà, a quanto afferma anche il ministro estri Terzi collegamenti aerei. L’Italia si unisce a Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti nel dare un supporto logistico che si tradurrà in sostegno alle operazioni con aerei da trasporto. Ma “non ci saranno operazioni ‘boots on the ground’, non manderemo cioè truppe militari”. Esattamente l’impegno di partenza preso per lamissione in Libia prima dell’intervento ufficiale Nato.
Ma i conti di questi “aiutini” collaterali (come i danni delle bombe fuori bersaglio), prima a poi arrivano al saldo. Di ieri la notizia che «Per motivi di sicurezza il governo italiano ha disposto la sospensione temporanea dell’attività del Consolato generale a Bengasi. Il personale dipendente farà rientro in Italia nelle prossime ore». Dice la Farnesina.
E l’articolo 11 della Costituzione? Ripasso per alcuni ministri. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…».
Mentre l’Italia avanza, altri discutono. Il solitario impegno francese, affermano Libération e Guardian nei propri editoriali, potrebbe avere presto bisogno di alleati. Come puntualmente verificato. Per Libération, i compiti di Parigi non sono solo militari. I francesi saranno presto costretti a convincere altri Paesi a occuparsi del conflitto.




Le ripercussioni strategiche continentali dell’intervento in Africa vengono analizzate dal quotidiano inglese in un articolo dal titolo praticamente identico a quello di Libération, la solitudine di Parigi in Mali. Il Guardian fa esplicitamente i nomi di Italia e Spagna come paesi interessati a spegnere ogni focolaio di crisi africano e agire in questo senso.
Dal Financial Times le prime riflessioni critiche sul nuovo conflitto. Partendo dalla Libia, chiedendosi se l’abbattimento del regime di Gheddafi sia stata una mossa strategicamente utile. Oltre le intenzioni umanitarie delle potenze intervenute, il quotidiano dubita sia valsa la pena di rovesciare il Colonnello visto quanto accede in Tripolitania e Cirenaica.
Il collasso del Mali – afferma FT – sarebbe conseguenza diretta della fine del regime secolare libico. Secondo uno studio pubblicato dalla Chatam House lo scorso anno, non solo la vera causa del fallimento dello Stato maliano sta nella precedente disintegrazione della Libia, anche gli avvenimenti siriani riflettono quanto avvenuto in Libia.
Per la cronaca di guerra, il quarto giorno di combattimenti – scrive Le Monde – è caratterizzato dai primi ostacoli incontrati dal Paese transalpino nella sua azione. Che afferma come Parigi sia cosciente dei rischi che l’intervento pone al Paese e agli ostaggi francesi nelle mani degli islamisti: la guerra sarà difficile e si svolgerà nell’ovest del Mali.
fonte: Globalist
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Per difendere la Democrazia o per l’Uranio ?

L’11 gennaio 2013, l’armata francese è intervenuta in Mali, in seguito a dei movimienti verso Bamako di gruppi armati islamisti. Da dei mesi, questi ultimi controllano tutto il Nord del Mali, e sarebbero stati incoraggiati al punto, ci dicono, da voler occupare l’intero paese.Nessuno negherà che quei gruppi sono composti da individui orribili che, sotto il pretesto di credenze “religiose”, picchiano tutte le persone i cui comportamenti a loro non piacciano, tagliando le mani dei ladri (reali o presunti), uccidendo – in particolare le donne – per delle sciocchezze o anche per niente.
Tuttavia, allo stesso modo che al momento dell’intervento militare contro Gheddafi in Libia, è insopportabile ritrovarsi chiamati a sostenere un intervento militare schierato da quelli stessi che sono largamente responsabili della gravità della situazione.
Chi crederà che si tratta di rendere più sicura la zona?
Per di più, chi può veramente credere che si tratta di un’operazione “per la democrazia in Mali”? Sono decenni che questa viene calpestata in questo paese da regimi corrotti, largamente sostenuti dalla Francia. Allora, perchè questa repentina urgenza di “democrazia”?
Allo stesso modo, chi crederà che si tratta di “rendere più sicura la regione”? In verità, si tratta di assicurare l’approvvigionamento di uranio alle centrali nucleari francesi: quest’ultimo viene in effetti estratto nelle mine al Nord del Niger, zona desertica solamente separata dal Mali da una linea sulle carte geografiche.
A questo proposito, è da sottolineare l’estrema perversità delle ex-potenze coloniali che un tempo tracciarono queste frontiere assurde, ignorando lo stanziamento delle popolazioni, e creando dei paesi con delle frontiere molto curiose: il Niger e il Mali hanno tutti e due forma di clessidra, una parte sudoccidentale contenente la capitale, totalmente fuori mano e distante da una immensa parte nordorientale, principalmente desertica.
I dipendenti di Areva rapiti

È così che, durante 40 anni, Areva (prima Cogéma) ha potuto accappararsi in tutta tranquillità l’uranio nigeriano, nelle mine situate a 500 chilometri dalla capitale e dal fragile “potere” politico nigeriano.
In questi ultimi anni, dei gruppi armati si sono organizzati in questa regione: dei tuareg, frustrati per essere stati disprezzati, sfollati e diseredati. E dei gruppi più o meno islamisti, alcuni essendo il risultato dei vecchi GIA, che hanno seminato il terrore in Algeria; altri controllati da Gheddafi, e resi independenti dopo la scomparsa di quest’ultimo.
Dei dipendenti dell’Areva, dirigenti nella società di estrazione dell’uranio, sono stati rapiti in settembre del 2010 in Niger, trasferiti in Mali e da allora detenuti. Posteriormente, il 7 gennaio 2011, due giovani francesi sono stati anch’essi rapiti in Niger.
L’Osservatorio sul Nucleare è stato una delle poche voci a denunciare l’operazione militare immediatamente lanciata dalle autorità francesi. Queste ultime avevano, infatti, ovviamente, deciso di castigare costasse quel che costasse i rapitori, a rischio che l’azione si terminasse drammaticamente per i due giovani ostaggi, che effettivamente sono stati uccisi nell’operazione.
Questi due giovani non lavoravano nell’estrazione dell’uranio, ma è evidente che l’idea era di scoraggiare eventuali prossime azioni contro i dipendenti di Areva.
Intervenendo, la Francia riprende il controllo
Da allora, i movimenti tuareg laici e progressisti sono stati marginalizzati, in particolare a causa dell’ascesa del gruppo salafista Ansar Dine. Potente e abbondantemente armato, quest’ultimo si è alleato con il gruppo islamico di Al Qaida nel Magreb (Aqmi), presentando un rischio sempre più evidente per le attività francesi di estrazione dell’uranio nel Nord del Niger.
La Francia ha sostenuto con grande costanza i governi corrotti che si sono succeduti in Mali, portando a un indebolimento dello stato. È probabilmente questo crollo che ha condotto i gruppi islamisti a incalzare e a avanzare verso Bamako.
Similmente, la Francia ha mantenuto da 40 anni il potere in Niger, in uno stato debole e dipendente dall’antica potenza coloniale e dalla sua compagnia di estrazione dell’uranio, la Cogéma, ora Areva. Mentre i dirigenti nigeriani cercano di controllare in qualche modo ciò che Areva fa, la Francia riprende il controllo con il suo intervento militare.
I recenti movimenti di gruppi islamisti non hanno fatto altro che precipitare l’intervento militare francese che era in corso di preparazione. Si tratta indubbiamente di un colpo di forza neo-coloniale, anche se le forme sono state rispettate con un opportuno appello di aiuto del Presidente ad interim del Mali, la cui legittimità è nulla visto che lui è in funzione in seguito al colpo di stato che ha avuto luogo il 22 marzo 2012.
Il pretesto della democrazia, un classico

È da precisare che noi non difendiamo i pericolosi fondamentalisti che sono anche dei trafficanti di droga e di armi e non esiterebbero a ferire e ammazzare.
Al contrario, noi rifiutiamo la favola dell’intervento militare “per la democrazia”. Questo pretesto è già stato molto utilizzato, in particolare quando gli USA hanno voluto mettere le mani su delle riserve petrolifere, e serve ancora poichè la Francia vuole assicurarsi l’approvvigionamento di uranio per i suoi reattori nucleari. Facciamo notare allora che a 27.000 euro per ora di volo di un Rafale, la tariffa reale della corrente di origine nucleare è ancora più pesante di quello che si può temere.
In conclusione, è ancora una volta dimostrato che l’atomo, e la ragione di stato che lo circonda, non nuoce solamente all’ambiente e agli altri esseri viventi ma anche alla democrazia.
fonte: Rue89
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Mali e Azawad: l’unica cosa certa sono le bugie che ci raccontano.
Dall’intervento militare internazionale contro i touareg ne ero a conoscenza già diversi mesi prima che questo realmente accadesse.Procediamo con ordine.
Quache mese fa leggevo un articolo su repubblica.it dove si riportava un comunicato dell’attuale presidente ad interim del Mali Dionkunda Traore(divenuto “presidente” dopo un colpo di stato da parte di una giunta militare che ha spodestato Amadou Tourè). In questo comunicato, pubblicato dal sito di repubblica senza un minimo di critica giornalistica o ricerca di altre fonti, il “presidente” chiedeva alla comunità internazionale un “aiuto” al fine di riportare ordine nella regione sahariana dell’Azawad, culla naturale dei touareg.
In questo comunicato il presidente non eletto dichiarava con assoluta certezza che l’Azawad indipendente rappresenta un rischio per tutto il mondo civilizzato, poichè i ribelli in realtà sono estremisti islamici con solidi legami con Al-Qaeda. Sono andato a ricercare le dichiarazioni ufficiali di chi “conta”. Il giorno della dichiarazione d’indipendenza la Francia ha reso noto di considerare “nulla” la dichiarazione “unilaterale d’indipenenza”. L’Ue e gli Usa hanno respinto la secessione assicurando di “voler rispettare l’integrità territoriale del Mali”. Anche dall’Unione Africana è giunto il più “totale rifiuto”. Il tutto giustificato, ovviamente dal fatto che ci fosse lo zampino di Al-Qaeda in mezzo.
Quel giorno mi sono reso conto che ci sarebbe stato sicuramente un intervento militare a breve per mantenere lo status quo.

Ovviamente repubblica.it in quel caso riferiva solo la versione del governo del Mali.
La versione vista dalla parte dei touareg pero’, non solo è molto diversa (e poco pubblicata), ma è, a mio avviso, molto più convincente.
Se fosse vera ( è probabilmente lo è), annullerebbe le tesi degli interventisti militari.
Sentiamo un pò cosa hanno da dirci questi berberi:
«AQMI ne constitue pas une organisation avec qui on peut négocier» («AQMI non costituisce una organizzazione con la quale si possa negoziare») dice in un intervista Bilal Ag Acherìf (presidente del consiglio transitorio dell’Azawad – MNLA).
Un momento, cosa significa ciò? Cos’è l’ AQMI? Cos’è il consiglio transitorio dell’Azawad? Cos’è il MNLA? Vuoi vedere che questi fondamentalisti islamici appartengono anche a diverse organizzazioni? Nessun giornale ne parla, certo le sigle sono riportate ogni tanto su qualche notizia Ansa, ma, in realtà, nessun giornalista ha ancora spiegato al cittadino medio che legge i giornali qualcosa di approfondito sulle forze in gioco.
Leggendo gli articoli dei giornali sembra che il compito di questo tipo di “stampa” debba essere solamente di rassicurare il cittadino del fatto che i governi buoni combattono i terroristi cattivi e che non c’è bisogno di sapere altro.

La stampa è piena zeppa di articoli dove si enfatizza sui fondamentalisti, tralasciando appositamente un’aspetto importante della questione: il MNLA.
Il MNLA, Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, è un movimento storico di touareg,nato dopo la rivolta del 1990, che punta all’autodeterminazione, autonomia e indipendenza del popolo touareg dal Mali, con mezzi sia militari che politici. Il movimento è il più importante non solo come partecipazione e adesione, ma anche per l’apertura delle idee di cui si fa portavoce. E’ stato il principale fautore dell’indipendenza del 6 aprile, e al suo interno è caratterizzato da una costellazione di persone e gruppi con idee politiche anche diverse, perfino a volte in contrapposizione. A distogliere ogni ombra di razzismo o chiusura nel movimento ad esempio è il dato di fatto che vi militano anche uomini e donne di altre etnie, ovvero peul, mauri, songhai e dissidenti Maliani. Si dichiara democratico e professa una parità di diritti tra i sessi, oltre che essere promotore dei diritti fondamentali dell’uomo. Uno dei suoi esponenti, Bilal Ag Acherìf si definisce musulmano moderato, e, in più interviste, si è schierato contro il fondamentalismo religioso.
Il giorno dell’indipendenza, i touareg del MNLA hanno rilasciato un comunicato dove hanno deciso unilateralmente di proclamare la fine delle operazioni militari. La decisione è stata presa «in seguito alla liberazione completa del territorio dell’Azawad e tenendo conto della forte richiesta in tal senso della comunità internazionale, in particolare del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, della Francia e degli stati della regione», spiega il testo. Il comunicato conclude invitando gli stati della regione e la comunità internazionale a «garantire il popolo dell’Azawad da ogni aggressione del Mali»

Che succede? A un primo sguardo non sembrano così pericolosi per la stabilità europea. Democratici? Laici? Toh guarda, addirittura c’è anche un gruppo musicale che suona “blues del deserto” e che ora è in tour per il mondo. Sono i Tinariwen, i cui testi parlano di libertà, fratellanza, unione di tutti gli africani etc.
Sono andato a vederli in concerto a Milano prima dell’estate. Purtroppo mentre intonavano la bellissima canzone “amman imman”(l’acqua è vita), infilavo ben 3 euro nelle tasche dei proprietari dell’Alcatraz per la mia bottiglietta d’acqua da zero cinque, ma questa è un altra battaglia. Il cantante del gruppo, Ibrahim Ag Alhabib, non era presente al concerto. Era in Mali per aiutare il suo popolo.
Ritornando al deserto, è ora di menzionare AQMI, ovvero Al-Qaeda per il Magreb Islamico e Ansar Eddine, un altro gruppo estremista. Eccoli finalmente, sono loro la causa dell’intervento militare francese, sono loro la causa di tanta paura, sono loro la giustificazione delle parole di Hollande “«Il nostro unico obiettivo è la lotta contro il terrorismo. Non abbiamo nessun interesse particolare, se non la salvaguardia di un paese amico».

Purtroppo vengo immediatamente assalito da forti dubbi. Il primo è sulla “consistenza” di questo esercito estremista. Che esista, ci metto la mano sul fuoco, ma quanto sia in grado di influenzare il MNLA è ancora da verificare. Secondo molti giornali il MNLA e AQMI sono addirittura in guerra tra loro.
Comunque, per salvaguardarsi da un eventuale attacco indiscriminato nei loro confronti, il MNLA ha anche apertamente manifestato la volontà di collaborare con le forze internazionale per scacciare i fondamentalisti.
I governi “civili” però non hanno ancora preso in considerazione questa ipotesi, e questo è un fattore interessante dato che, se dovessero ricevere aiuto dai touareg non fondamentalisti, legittimerebbero la loro azione indipendentista. Probabilmente l’autonomia di una zona del mondo che possiede risorse e interessi per aziende dal grande fatturato è la vera spina nel fianco dei paesi neocolonialisti europei, molto più dello spauracchio di AL-Qaeda.

Per la cronaca ci sono stati già 100 morti ribelli. Che appartenessero al MNLA o a gruppi fondamentalisti non c’è dato di sapere. Ci sono solo supposizioni, informazioni false, informazioni a metà. Quel che si sa è che i loro corpi ora appartengono al deserto, quel deserto che per qualche mese è tornato libero, e che tra qualche mese ritornerà una proprietà privata del Mali, della Francia o dell’Onu, non si sa.
Quel che è certo, è che l’informazione di massa rivela ancora una volta il suo atteggiamento di protezione degli interessi di pochi, a discapito della veritiera informazione giornalistica. Nessuno parla degli interessi dell’elitè economica privata europea in quella zona del mondo. Il chiaro obiettivo di questo tipo di informazione è piegare parte dell’opinione pubblica verso le verità di pochi, giustificando un intervento militare che profuma molto di ricolonializzazione.

fonte: Global Project

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