Marco Cedolin
Sta tenendo banco da qualche giorno la polemica sorta intorno alle "scarpe razziste" dell'Adidas, ritirate dal commercio dalla multinazionale, in seguito all'ondata di critiche che stando ai giornali sarebbero emerse, soprattutto sul web, ad opera di un'agguerrita minoranza di utenti che in quegli scarpini individuavano un richiamo agli antichi ceppi utilizzati sugli schiavi neri in America nel XVIII e XIX secolo.
Non intendiamo abusare del tempo dei lettori, perdendoci in giudizi stilistici sul nuovo modello dell'Adidas, in verità piuttosto bruttino, o in equilibrismi di fantasia concernenti presunti richiami agli schiavi d'America, alla popolazione carceraria o alle pratiche sadomaso, ma intendiamo concederci una brevissima riflessione....
Sarà un segno dell'isteria colletiva che caratterizza i "tempi moderni", ma sembra diventare sempre più preponderante la tendenza alla creazione di feticci sostanzialmente inutili, all'interno dei quali concentrare in maniera pretestuosa l'attenzione dell'immaginario collettivo, distogliendolo dai problemi seri che quell'attenzione la meriterebbero appieno.
Anzichè contestare le multinazionali come L'Adidas per le politiche di schiavismo, portate avanti in giro per il mondo nei vari paesi dove hanno delocalizzato la produzione e per le operazioni di marketing selvaggio attraverso le quali sono arrivate a falsare gli esiti delle competizioni sportive, minando alle fondamenta la correttezza delo sport, si preferisce stigmatizzare la scarpa con le catenelle, in perfetto stile radical chic.
In piena sintonia con tanta sensibilità, il prossimo modello di scarpino, politicamente corretto, sarà sicuramente sponsorizzato dal commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e non importerà a nessuno se lo cuciranno bambini denutriti di 7 anni, annientati dalle catene della povertà e dai progetti di "sviluppo", portati avanti dalla Banca Mondiale, con l'appoggio della "società civile" e di tanti benpensanti così sensibili alle catenelle e alla storia degli schiavi d'America, da dimenticare che la schiavitù esiste anche oggi, nonostante la chiamino progresso.
Fonte: marcocedolin.blogspot.it
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