TAV, TRENO AD ALTA VELOCITA’ ATLANTICA
di Filippo Bovo
dal sito StatoPotenza
Il Movimento No TAV, attivo almeno fin dai tempi della grande manifestazione a Sant’Ambrogio di Torino del 2 marzo 1995, ha più di una buona ragione per contestare la realizzazione della grande opera ferroviaria che dovrebbe attraversare la Val di Susa collegando Torino a Lione, all’interno di un più esteso colegamento da Lisbona a Kiev. Troppo lunghi e costosi sarebbero ad esempio i lavori del cantiere, tali da sottrarre al paese risorse preziose che certamente risulterebbero meglio investite nell’ammodernamento delle linee esistenti (a cominciare dalla linea Torino – Lione che attraversa il Traforo del Frejus e che ad oggi viene utilizzata non oltre il 30% delle sue capacità: per il trasporto merci, quindi, la TAV si presenterebbe come un costoso ed inutile doppione). Ingenti sarebbero anche i danni all’ambiente, con gravi effetti sulle condizioni idrogeologiche della valle come del resto è già avvenuto con i lavori per l’alta velocità nel Mugello, dove interi paesi sono rimasti senz’acqua a causa del disseccamento delle falde.
Non mancherebbero poi preoccupazioni su problemi di salute pubblica legati ad una serie di minerali presenti nelle montagne circostanti (principalmente amianto ed uranio) le cui scorie e la cui radioattività, a causa dei forti venti che caratterizzano la Val di Susa, potrebbero raggiungere persino la periferia di Torino. Infine una linea come la TAV favorirebbe, nell’ottica del mercato comunitario, l’esportazione di capitale produttivo verso le aree più povere dell’Unione Europea e l’importazione di merci a basso costo dalle medesime, assecondando così la deindustrializzazione e la delocalizzazione di imprese del nostro Paese verso l’Europa orientale e, di conseguenza, anche la compressione dei salari dei nostri lavoratori.
Ma queste ragioni, tutte condivisibili e difficilmente obiettabili, sono soltanto quelle più note ed ufficiali: ve ne è anche un’altra, al cui proposito l’opinione pubblica viene tenuta accortamente all’oscuro e di cui ci ccuperemo in questo articolo. La TAV, esattamente come la ferrovia Berlino – Baghdad dell’inizio del secolo scorso (la cui funzione era quella di favorire la penetrazione militare ed economica della Germania guglielmina nei Balcani e nel Medio Oriente di cui già all’epoca s’era scoperto il potenziale petrolifero), risponde a ben precise logiche geopolitiche e geostrategiche. Attraversando Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Ungheria ed Ucraina, favorirebbe il collegamento e la saldatura fra Europa occidentale ed orientale, consentendo così la penetrazione della NATO nello spazio post sovietico.
Non è certo un mistero che Kiev rappresenti solo il terminale momentaneo di questa enorme infrastruttura per la quale già si teorizzano ulteriori prolungamenti verso la Crimea, il Caucaso e la Russia meridionale. Guardacaso proprio le aree su cui l’azione di destabilizzazione e penetrazione militare e d’intelligence da parte degli Stati Uniti, attraverso la leva costituita dall’Alleanza Atlantica, è andata intensificandosi a partire dall’ultimo decennio. Gli Stati Uniti ad oggi mantengono più di 100.000 uomini nel Vecchio Continente allo scopo di assicurarvi il proprio controllo e soprattutto per poterlo utilizzare come piattaforma da cui partire alla conquista degli spazi circostanti, in primo luogo l’Africa ed il Medio Oriente (per i quali, non a caso, nel 2008 è stato istituito il comando tattico-operativo AFRICOM) e gli Stati dell’Europa orientale un tempo alleati dell’URSS (Polonia, ex Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria) o addirittura parte di essa (Lituania, Estonia, Lettonia, Ucraina, Georgia ed Azerbaigian). E’ un processo d’allargamento che si basa sull’inserimento di questi Stati nel dispositivo politico e militare della NATO, con relativa installazione nel loro territorio di nuove basi militari americane. Per tale ragione il numero di militari americani in Europa salirà, mentre parte di loro verranno sempre più spostati ad Est e a Sud, verso la nuova frontiera.
Com’è ben noto, una delle principali ossessioni dei vertici militari e degli strateghi statunitensi è costituita dalla logistica. Se guardiamo alla storia militare degli Stati Uniti d’America, c’accorgeremo che molti loro successi e del pari molti loro rovesci hanno spesso avuto più di una ragione in difficoltà nel gestire la logistica o nelle debolezze intrinseche a quest’ultima: pensiamo, per esempio, alle guerre di Corea e del Vietnam. In questa loro corsa ad Est e a Sud, quindi, per gli americani è vitale dotarsi di una logistica caratterizzata dai massimi livelli d’efficienza e di velocità: le basi militari che rappresenteranno i centri della colonizzazione delle nuove aree europee ed extraeuropee, di conseguenza, dovranno essere collegate tra loro da “linee ad alta velocità”. A livello italiano la TAV collegherebbe tra loro l’aeroporto nucleare di Ghedi, il comando NATO del Garda e di Verona (altro snodo cruciale non soltanto fra Europa orientale ed occidentale, ma soprattutto tra Europa continentale e mediterranea, ovvero corridoio preferenziale di collegamento tra il fronte meridionale e la Germania, il paese dove la NATO e le forze americane sono presenti in modo più massiccio), Camp Ederle di Vicenza, passando oltretutto in prossimità delle basi di Istrana e di Aviano, superbase nucleare collegata al Corridoio 5 attraverso un suo collegamento apposito. Ecco che allora il Corridoio 5, la linea su cui andrebbe a correre la TAV, permetterebbe un rapido movimento e trasporto di truppe e materiali militari da Lisbona a Kiev e viceversa, verso mete ancora più lontane.
In Italia, solitamente, la mobilitazione popolare basta a bloccare o quantomeno interrompere la realizzazione di tutte quelle “Grandi Opere” a torto o ragione giudicate come discutibili, vuoi per ragioni economiche o ambientali: è stato così col Ponte di Messina, col MOSE e persino col progetto berlusconiano di ritorno al nucleare. Ma non è stato così con l’alta velocità, né in Mugello (una linea ad alta velocità che colleghi il Nord al Sud del Paese, sempre militarmente parlando, risulta oltremodo strategica ed indispensabile alla NATO, che ottiene così la possibilità di collegare Vicenza, Aviano, Verona e la Germania alle basi militari come Livorno e ai comandi NATO quali Napoli e Taranto, dotati di “giurisdizione” per l’intero Mediterraneo) né in Val di Susa, e men che meno per la costruzione della base di Vicenza “Dal Molin”. In questi casi, infatti, non sono in gioco i nostri interessi (l’interesse nazionale, al quale si può anche rinunciare) ma quelli dei nostri “padroni”. Padroni che intendono portare a casa determinati risultati, costi quel che costi: se noi italiani vogliamo rinunciare al MOSE, sono affari nostri; vorrà dire che per fronteggiare l’acqua alta a Venezia c’inventeremo qualcos’altro. Ma che non ci venga in mente di dire di no all’alta velocità: quella serve a Washington e Bruxelles, e di farla saltare proprio non se ne parla. Come italiani, siamo liberissimi di far affondare Venezia, ma non i piani d’espansione coloniale dei nostri padroni d’oltre Oceano.
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