I danni ambientali che seguiranno a queste pratiche potranno essere irreparabili per decenni o secoli. Non vi saranno profitti per le popolazioni locali che saranno costrette a convivere in situazioni di inospitalità ed insolubrità.
“L’Italia preda delle trivelle texane”
In questi ultimi anni l’Italia e’ tornata nel mirino delle ditte petrolifere di mezzo mondo.
Che avessimo piccoli giacimenti di idrocarburi era noto gia’ da molto tempo, ma questi non sono mai stati sfruttati perche’ economicamente non conveniente.
Il nostro petrolio e’ di qualita’ scadente, modesto in quantita’, scomodo da estrarre perche’ posto in profondita’ e in una nazione fortemente antropizzata, sismica e soggetta a subsidenza. Oggi si assiste ad una “rinascita” dell’attivita’ petrolifera
in Italia. Questo e’ dovuto senz’altro alla maggior richiesta da parte di India e Cina, al fatto che i migliori giacimenti
mondiali sono in fase di esaurimento, a migliori capacita’ tecnologiche, e soprattutto al fatto che e’ facile speculare in Italia.
Gli stessi petrolieri sulle loro comunicazioni interne parlano di facili guadagni in Italia, di basse royalties, di scarsa opposizione politica, di facilita’ nell’ottenere permessi ambientali e burocratici. Per esperienza, so che e’ cosi. Il popolo non e’ mai sufficientemente informato e spesso ne viene a sapere per caso o ad affare fatto.
I limiti per le emissioni di idrogeno solforato dalle raffinerie italiane e’ di circa 30ppm, a fronte di un limite massimo
tollerabile per la salute umana di 0.5ppm come stimato dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’. Le royalties in terraferma sono del 10% e del 4% in mare. In Libia o in Norvegia ad esempio, lo Stato trattiene oltre l’80% dei guadagni
ma anche in Canada dove l’industria non e’ statale le royalties sono di circa il 40%. In Italia fino al 2010 si poteva trivellare liberamente lungo le nostre coste, senza limiti.
Dall’anno scorso e’ stata introdotta una zona franca di 5 miglia nautiche da riva. In California lo stesso e’ di 100 miglia da riva, per salvare turismo, pesca e qualita’ della vita. E’ evidente che in situazioni simili e’ facile venire in Italia e speculare.
Non molti lo sanno, ma ci sono progetti per trivellare parchi, la laguna veneta, le coste siciliane, Pantelleria, le isole Tremiti, il Gargano, i campi del Montepulciano d’Abruzzo, la Pianura Padana, il tutto sul modello della gia’ martoriata Basilicata, il primo esperimento italiano di trivelle a larga scala, iniziato 15 anni fa per opera dell’ENI.
Nell’immaginario collettivo c’e’ l’idea che petrolio equivale a ricchezza, ma non e’ cosi. Dalla Lucania ogni giorno emergono
notizie di petrolio subentrato nella catena alimentare, di rifiuti petroliferi smaltiti fra i campi, di sostanze di scarto
che finiscono nelle dighe di acqua, di esalazioni di idrogeno solforato fuori da ogni limite accettabile per la salute umana,
di agricoltura compromessa in certi luoghi, di pozzi di petrolio proposti nei pressi di ospedali e centri abitati, di scarsi controlli ambientali e fiscali.
Tutte le statistiche Istat continuano a collocare la Basilicata fra le due o tre regioni piu’ povere d’Italia, l’emigrazione aumenta, i giovani non hanno prospettive. Il clima e’ di forte omerta’ – la chiesa non si azzarda a parlare,
i politici sono troppo timorosi di fare la cosa giusta, e la societa’ civile si sente impotente.
L’ENI aveva promesso loro un monitoraggio ambientale che e’ stato messo su solo 12 anni dopo l’inizio delle trivellazioni e che a tutt’oggi e’ saltuario e incompleto.
Non e’ accettabile, non e’ giusto.
Prof.ssa Maria Rita D’Orsogna
Dr. Milan Roberto
“Il rischio non vale il metano”
Nel 2008 la Legge 133 del Ministro Scayola concesse di poter attivare i pozzi purchè si dimostrasse che non provocano subsidenza.Ricordiamo che già nel 1967 l’ Ing. Mario Zambon, dell’Università di Padova, denunciava i danni dovuti all’estrazione del metano che aveva provocato la moria dei peschi, l’abbassamento del suolo di m 3.0 nel Polesine e di m 1,60 nel Ravennate con danno alle spiagge.
La subsidenza è certa , irreversibile e può verificarsi anche dopo cessate le estrazioni.
Ricordiamo che in America le piattaforme per l’estrazione devono stare oltre i 100 km dalla costa, per non danneggiare la salute degli abitanti, il turismo e la pesca. Altrettanto si richiede lungo le coste della Norvegia. In Italia invece le trivelle sono ammesse a soli 5 km dalla costa. C’è da chiedersi se i nostri politici sono impazziti. Non basta sapere che il nostro terreno e simile a quello del Polesine che ha sofferto i disastri degli anni 50-60. Sono talmente irresponsabili da non tener conto che nelle campagne venete molti terreni sono anche 3 m sotto il livello del mare dove sono in funzione 300 idrovore , 24 ore su 24, per non farli diventare delle paludi.
Qualsiasi tesoro si trovasse nel sottosuolo non va toccato se ciò può compromettere l’esistenza futura di zone altamente popolate e di valore storico ed artistico, unici al mondo, quali Venezia, Chioggia e tutta la riviera veneta. L’Adriatico è un mare chiuso, a basso fondale ( max 50m) con superfice pari ad 1/6 del Golfo del Messico (fondo 1500 m). Un incidente tipo quello della piattaforma sprofondata in quel mare, nel maggio dell’anno scorso, avrebbe provocato una catastrofe inimmaginabile.
La nostra forte e decisa protesta va al Ministero dell’Ambiente ed al Ministero dell’Industria e chiediamo la chiusura di tutte le concessioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi nel nostro territorio e nel nostro mare.
Ing. Giandomenico Tesserin
Comitato Difesa di Chioggia
Per ulteriori informazioni visitate il sito della Prof.ssa Maria Rita D’Orsogna!
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