Fonte: http://www.geopolitica-rivista.org/15559/litalia-e-sotto-occupazione-straniera-incontro-con-gianandrea-gaiani/
Incontro con Gianandrea Caiani
Gianandrea Gaiani [nella foto], analista militare, è direttore del mensile telematico“Analisi Difesa” e collaboratore di varie testate: ha una sua rubrica su “Panorama” e scrive per “Il Sole 24 Ore”, “Il Foglio” e “Libero”. Recentemente il dottor Gaiani ha espresso posizioni molto dure sul nuovo governo italiano, sia in un editoriale di “Analisi Difesa” sia in una lettera a “Il Foglio”. Definito come un “governo di occupazione”, imposto all’Italia da potenze esterne, il gabinetto Monti, a giudizio del dott. Gaiani, si distinguerebbe per sudditanza e non starebbe facendo davvero gl’interessi dell’Italia, ma anzi danneggiandoli. Il con-direttore Daniele Scalea ha incontrato il dott. Gaiani per discutere con lui della sua forte presa di posizione.
DS: Dottor Gaiani, pare di capire che, a suo giudizio, i
paesi che avrebbero imposto questo “governo d’occupazione” all’Italia
sarebbero Francia, Germania e USA. È corretto?
GG: Per essere precisi, ritengo che siano state
Parigi e Berlino a prendere la decisione. Washington si è limitata ad
intervenire per salvaguardare i propri interessi: Obama, in un colloquio
telefonico col presidente Napolitano, gli avrebbe suggerito i nomi cui
affidare i dicasteri della Difesa e degli Esteri (evidentemente più cari
agli USA), ossia rispettivamente quello del presidente del Comitato
militare della NATO ammiraglio Di Paola e dell’ambasciatore a Washington
Terzi di Sant’Agata.
In sostanza, comunque, è avvenuto ciò che è avvenuto in Grecia: è stato imposto un “governo fantoccio”, che rende conto a potentati esterni anziché al popolo.
In sostanza, comunque, è avvenuto ciò che è avvenuto in Grecia: è stato imposto un “governo fantoccio”, che rende conto a potentati esterni anziché al popolo.
Nei suoi interventi ha attirato l’attenzione su una
questione inspiegabilmente passata sotto silenzio dai media: la
richiesta dell’UE di abrogare le cosiddette “golden shares”. Ossia le
quote e ben precisi poteri decisionali che lo Stato italiano mantiene
nelle aziende strategiche privatizzate.
È paradossale che l’UE, in una situazione descritta come di piena emergenza, non trovi di meglio da fare che occuparsi delle golden shares italiane.
Tanto più che Francesi e Tedeschi hanno meccanismi simili per
proteggere le loro aziende strategiche. A breve scade l’ultimatum
lanciato dall’UE all’Italia: senza una legge che sostituisca le golden shares e
fornisca una protezione da scalate esterne, il settore strategico
italiano (Telecom, Finmeccanica, ENI, Enel, ma anche le banche) sarà
acquisito dagli stranieri per due soldi, complici le cadute nelle
contrattazioni borsistiche. Facciamo qualche esempio. Le banche
italiane hanno oggi una capitalizzazione che supera di poco i 30
miliardi di euro, ma gestiscono una quantità di denaro che è cinque
volte superiore. Eppure, acquistarle tutte assieme costerebbe meno che
acquistare la sola BNP Paribas. Finmeccanica ha una capitalizzazione di 2
miliardi, ma possiede beni immobili che da soli valgono 4 miliardi.
Francesi, Tedeschi, ma non solo, si preparano a comperare i pezzi
pregiati della nostra industria, e lo faranno anche per eliminare dei
rivali. In fondo, la guerra in Libia non è servita a togliere interessi
strategici all’Italia, e rimpiazzarla nel paese nordafricano? Vi sono
due modi per togliere di mezzo un rivale: soffiargli i contratti, come
in Libia, oppure comprarlo, farlo passare sotto il proprio controllo,
come rischia di succedere alle aziende italiane.
Il negoziato per alleggerire i termini del rientro sul debito, chiesto dall’Italia all’UE, ci metterà di fronte ad un ricatto: svendere in cambio le nostre industrie pregiate. I due pesi e le due misure sono palesi: alla Germania è stato chiesto di eliminare dei provvedimenti che tutelano il suo settore automobilistico; non lo fa, eppure non riceve alcun ultimatum. Ben diverso è il trattamento riservato all’Italia, alla Grecia o all’Ungheria. Quest’ultima è stata costretta a rinunciare a leggi decise dai suoi rappresentanti eletti in cambio d’aiuti finanziari europei.
Il negoziato per alleggerire i termini del rientro sul debito, chiesto dall’Italia all’UE, ci metterà di fronte ad un ricatto: svendere in cambio le nostre industrie pregiate. I due pesi e le due misure sono palesi: alla Germania è stato chiesto di eliminare dei provvedimenti che tutelano il suo settore automobilistico; non lo fa, eppure non riceve alcun ultimatum. Ben diverso è il trattamento riservato all’Italia, alla Grecia o all’Ungheria. Quest’ultima è stata costretta a rinunciare a leggi decise dai suoi rappresentanti eletti in cambio d’aiuti finanziari europei.
Poche settimane prima della caduta del governo
Berlusconi, si era parlato di un interessamento della Cina ad acquisire
partecipazioni nell’industria strategica. Non è possibile che queste
manovre siano state motivate anche dalla decisione di non permettere a
Pechino di realizzare queste acquisizioni?
Non credo, perché l’interesse cinese tende più verso i titoli di
debito pubblico. È più semplice penetrare lì, che nel settore
strategico.
Alcuni critici hanno tacciato il gabinetto Monti
d’essere un “governo dei banchieri”. Tuttavia, si è visto come le banche
italiane siano state discriminate dall’UE, che ha richiesto una
ricapitalizzazione in ragione dei titoli del Tesoro italiano posseduto
da queste banche, risparmiando invece gl’istituti finanziari francesi e
tedeschi pieni di “titoli tossici”. Insomma: se anche le banche sono
“vittime”, chi sono i “complici” interni di questa “occupazione”? E se
non ve ne sono, come ha potuto essere imposto all’Italia un “governo
d’occupazione”, come lo definisce lei?
Si è imposto grazie alla debolezza della politica. Ed a metodi di
pressione dall’esterno che non necessariamente richiedono complicità
interne. Berlusconi ha accelerato i tempi delle sue dimissioni dopo che
un pesante attacco speculativo fece crollare il titolo Mediaset in
borsa… E comunque, un governo delle banche non deve esserlo
necessariamente di quelle italiane (che pure sono state favorite da
numerosi provvedimenti). La stessa ricapitalizzazione chiesta dall’UE
può aiutare gli stranieri ad entrare nelle banche italiane. Che sono
particolarmente ghiotte perché contengono l’ingente risparmio delle
famiglie italiane.
Ma insomma, esistono settori “nazionali”, animati da
senso dello Stato e – perché no? – sano patriottismo, che potrebbero
reagire a tutto ciò?
L’unico modo per reagire è far mancare il sostegno al Governo in
Parlamento. Ma la politica non è in grado, perché non può fornire
un’alternativa e comunque è lieta che ad aumentare le tasse sia un
governo tecnico. Un “governo d’occupazione”, dico io, perché favorisce i
competitori dell’Italia. Sono davvero “straordinarie”, come le ha
definite la Merkel, le misure del gabinetto Monti: infatti ci
garantiranno recessione ed inflazione allo stesso tempo. Togliere di
mezzo una delle maggiori potenze economiche mondiali è nell’interesse di
parecchi paesi.
E dato che lei è prima di tutto un analista militare,
veniamo ad una scottante questione che è salita all’onore delle
cronache, proprio in rapporto alla politica d’austerità, negli ultimi
giorni. Mi riferisco alla polemica relativa all’oneroso acquisto dei
caccia multiruolo statunitensi “Joint Strike Fighter” F-35 da parte
dell’Italia. Al di là degli argomenti antimilitaristi, da un punto di
vista realista, quest’acquisizione conviene o non conviene?
Il programma JSF avrebbe dovuto costare all’Italia, nei piani
originari, 2 miliardi per lo sviluppo e 15 miliardi per l’acquisto di
131 aerei. Si tratta d’una cifra che è già oggetto di riesame:
probabilmente ne compreremo solo un centinaio. In ogni caso, lo sviluppo
dell’aereo è arrivato in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ed il
conseguente aumento dei costi è difficile da quantificare. In Italia
ufficialmente si prevede d’acquistare ciascun velivolo al costo unitario
di 78 milioni di dollari. I canadesi, però, calcolano che ogni JSF
costerà loro 146 milioni.
Diciamo subito che gli aerei, dopo trent’anni, è normale vadano cambiati. Si può ovviamente decidere di cambiarli con meno mezzi, ed è già il nostro caso: i 131 F-35 daranno il cambio a 220-250 velivoli più vecchi. Ma all’Italia servono questi F-35? Servono se vogliamo continuare a bombardare in giro per il mondo a fianco dei nostri alleati. Quest’aereo sarà acquistato da altri paesi della NATO, e possederlo renderà le nostre forze integrabili con quelle alleate.
In ogni caso, l’aereo è statunitense: noi abbiamo un ruolo di sub-fornitori, e dunque deboli ricadute industriali. Acquistando l’F-35, rinunciamo alla capacità di produrre da soli i nostri aerei, come con l’Eurofighter, o come fanno i Francesi con il Rafale. Rinunciamo a sviluppare la versione d’attacco al suolo dell’Eurofighter, su cui invece investiranno i Tedeschi. Ciò ci condanna a lavorare su prodotti nordamericani per molti anni a venire.
I Francesi non riescono ad esportare il loro Rafale: esaurite le commesse interne, chiuderanno la catena di montaggio. Fra dieci anni in Occidente ci sarà una sola catena di montaggio: quella degli USA. Non è una scelta d’oggi: è stata presa nel 1996 e confermata nel 2002.
Se vogliamo continuare a fare la guerra (anche contro i nostri interessi, come talvolta accade) ci servono questi aerei. Andrebbero bene anche gli Eurofighter, in realtà, a maggior ragione visto che i nostri avversari sono guerriglieri o eserciti scalcinati. La sofisticazione è però utile all’industria, perché permette d’acquisire tecnologia assieme agli aerei.
Ma v’è infine un aspetto fondamentale di cui non si parla mai: gli F-35 costano molto, ma costa ancora più caro tenerli in linea. Il bilancio della Difesa sarà sempre più ridotto dai tagli finanziari: già oggi conta poco più dei soldi necessari a pagare gli stipendi. Dovremmo allora blindare i bilanci della Difesa per i prossimi 15-20 anni, o corriamo il rischio di ritrovarci con tanti moderni F-35, ma senza i soldi per fargli il pieno. Già succede in parte: la voce dell’esercizio è quella più colpita dai tagli. Se non garantiamo risorse alla Difesa, ha poco senso acquistare questi aerei. L’aeronautica italiana punta a mantenere una forza su due diversi velivoli, l’Eurofighter Typhoon per la difesa e l’F-35 per l’attacco. Anche la Gran Bretagna lo fa, ma ha molti più soldi di noi come del resto Francia e Germania che avranno invece un solo velivolo multiruolo.
Diciamo subito che gli aerei, dopo trent’anni, è normale vadano cambiati. Si può ovviamente decidere di cambiarli con meno mezzi, ed è già il nostro caso: i 131 F-35 daranno il cambio a 220-250 velivoli più vecchi. Ma all’Italia servono questi F-35? Servono se vogliamo continuare a bombardare in giro per il mondo a fianco dei nostri alleati. Quest’aereo sarà acquistato da altri paesi della NATO, e possederlo renderà le nostre forze integrabili con quelle alleate.
In ogni caso, l’aereo è statunitense: noi abbiamo un ruolo di sub-fornitori, e dunque deboli ricadute industriali. Acquistando l’F-35, rinunciamo alla capacità di produrre da soli i nostri aerei, come con l’Eurofighter, o come fanno i Francesi con il Rafale. Rinunciamo a sviluppare la versione d’attacco al suolo dell’Eurofighter, su cui invece investiranno i Tedeschi. Ciò ci condanna a lavorare su prodotti nordamericani per molti anni a venire.
I Francesi non riescono ad esportare il loro Rafale: esaurite le commesse interne, chiuderanno la catena di montaggio. Fra dieci anni in Occidente ci sarà una sola catena di montaggio: quella degli USA. Non è una scelta d’oggi: è stata presa nel 1996 e confermata nel 2002.
Se vogliamo continuare a fare la guerra (anche contro i nostri interessi, come talvolta accade) ci servono questi aerei. Andrebbero bene anche gli Eurofighter, in realtà, a maggior ragione visto che i nostri avversari sono guerriglieri o eserciti scalcinati. La sofisticazione è però utile all’industria, perché permette d’acquisire tecnologia assieme agli aerei.
Ma v’è infine un aspetto fondamentale di cui non si parla mai: gli F-35 costano molto, ma costa ancora più caro tenerli in linea. Il bilancio della Difesa sarà sempre più ridotto dai tagli finanziari: già oggi conta poco più dei soldi necessari a pagare gli stipendi. Dovremmo allora blindare i bilanci della Difesa per i prossimi 15-20 anni, o corriamo il rischio di ritrovarci con tanti moderni F-35, ma senza i soldi per fargli il pieno. Già succede in parte: la voce dell’esercizio è quella più colpita dai tagli. Se non garantiamo risorse alla Difesa, ha poco senso acquistare questi aerei. L’aeronautica italiana punta a mantenere una forza su due diversi velivoli, l’Eurofighter Typhoon per la difesa e l’F-35 per l’attacco. Anche la Gran Bretagna lo fa, ma ha molti più soldi di noi come del resto Francia e Germania che avranno invece un solo velivolo multiruolo.
Nei suoi interventi ha ricordato che l’Italia ha una
“sovranità limitata” da molti decenni: potremmo dire dal 1943. La
domanda che mi pongo è: l’Italia può essere sovrana dentro la NATO?
Ovvero bisogna trovare una nuova configurazione strategica, quale può
essere una ristrutturazione dell’Alleanza Atlantica, o un trattato di
sicurezza collettiva pan-europeo, quale quello promosso dai Russi negli
ultimi anni?
Durante la Guerra Fredda, anche se la nostra sovranità era
limitata, gl’interessi dell’Italia (e dell’Europa) e degli USA
convergevano. Oggi la situazione è mutata, come dimostra il caso libico.
Gli USA negli ultimi mesi hanno sacrificato molti regimi arabi loro
alleati per rimpiazzarli con nuovi regimi a loro volta non molto
democratici. Persino l’Arabia Saudita si preoccupa, tanto da intervenire
in Bahrayn prima che lo facessero gli USA. Siamo sicuri che il
Mediterraneo dominato dall’islamismo sia nell’interesse europeo? Io
credo di no. Invece può esserlo in quello degli USA, che sono più
lontani, al di là dell’oceano.
Bisogna rivalutare il ruolo italiano ed europeo rispetto ai nostri interessi. Gli USA hanno giocato un ruolo tutto sommato stabilizzatore fino a Bush, mentre ora ricoprono un ruolo palesemente destabilizzatore. L’Italia stessa è stata destabilizzata con la guerra di Libia. Berlusconi partecipò controvoglia all’intervento, inizialmente decidendo che i velivoli italiani non avrebbero lanciato bombe. Il venerdì di Pasqua Kerry, presidente della Commissione esteri del Senato statunitense, giunse in Italia per conferire privatamente con Berlusconi. La domenica successiva Obama telefonò a Berlusconi. Il giorno dopo, anche l’Italia diede il via ai bombardamenti. Questo significa avere sovranità limitata. Sovranità che oggi è proprio azzerata.
Bisogna riflettere sulle alleanze. La Francia e la Gran Bretagna, in Libia, hanno fatto i loro interessi. Parigi ha scelto di tenere la propria flotta fuori dal controllo della NATO, perché alla testa di quest’ultima c’era un ammiraglio italiano. Il mondo è cambiato, bisogna riconoscerlo e guardare al nostro interesse nazionale. Oggi ci sono paesi pronti a tutto per un contratto petrolifero. Quando Sarkozy decise d’attaccare la Libia, gli aerei francesi sorvolarono l’Italia senza nemmeno chiederci il permesso. Questi sono competitori, non alleati.
Bisogna rivalutare il ruolo italiano ed europeo rispetto ai nostri interessi. Gli USA hanno giocato un ruolo tutto sommato stabilizzatore fino a Bush, mentre ora ricoprono un ruolo palesemente destabilizzatore. L’Italia stessa è stata destabilizzata con la guerra di Libia. Berlusconi partecipò controvoglia all’intervento, inizialmente decidendo che i velivoli italiani non avrebbero lanciato bombe. Il venerdì di Pasqua Kerry, presidente della Commissione esteri del Senato statunitense, giunse in Italia per conferire privatamente con Berlusconi. La domenica successiva Obama telefonò a Berlusconi. Il giorno dopo, anche l’Italia diede il via ai bombardamenti. Questo significa avere sovranità limitata. Sovranità che oggi è proprio azzerata.
Bisogna riflettere sulle alleanze. La Francia e la Gran Bretagna, in Libia, hanno fatto i loro interessi. Parigi ha scelto di tenere la propria flotta fuori dal controllo della NATO, perché alla testa di quest’ultima c’era un ammiraglio italiano. Il mondo è cambiato, bisogna riconoscerlo e guardare al nostro interesse nazionale. Oggi ci sono paesi pronti a tutto per un contratto petrolifero. Quando Sarkozy decise d’attaccare la Libia, gli aerei francesi sorvolarono l’Italia senza nemmeno chiederci il permesso. Questi sono competitori, non alleati.
Lei è un “euro-scettico”, vero?
L’Europa non c’è mai stata. Sono vent’anni che seguo guerre sul
campo, e l’Europa non l’ho mai vista, se non nelle chiacchiere e nei
regolamenti astrusi. Persino nei Balcani l’Europa si è dimostrata
incapace, ed ha dovuto far intervenire la NATO. Non c’è un sentimento
europeo. E l’Europa non è democratica: nessuno l’ha votata. Gli unici
due referendum costituzionali li ha persi, per poi scavalcarli tramite
il voto dei parlamenti. La verità è che oggi qualcuno sta riuscendo là
dove non era riuscito Napoleone coi granatieri e Hitler coi panzer.
Germania e Francia, con lo spread, stanno creando un impero.
Berlino e Parigi riusciranno a mantenere congiuntamente questo “impero”? O alla fine si scontreranno per il potere?
Oggi vi sono due assi in Europa. Il primo è quello
franco-britannico sulla Difesa: lanciano progetti che poi si rifiutano
di condividere col resto dell’UE. Il secondo è il direttorio economico
franco-tedesco. Ma mentre gli USA prima realizzarono l’unione degli
Stati tramite la guerra d’indipendenza e poi costruirono le istituzioni
federali, noi europei prima abbiamo creato le istituzioni e la moneta
unica, e poi stiamo pensando a costituire l’unione politica.
Certo però che bisogna porsi il problema
dell’alternativa all’Unione Europea. In questo mondo che viaggia verso
il multipolarismo, in cui la tendenza evidente è all’integrazione
regionale, come potrebbe l’Italia, da sola, sperare di conservare la sua
sovranità, dovendo competere con grandi potenze semi-continentali o con
possenti costruzioni integrate?
Io voglio mantenere l’UE, perché ha alcune cose positive, come il
libero scambio interno. Ma la Turchia, fuori dall’UE, sta costruendo un
suo “impero”, grazie ad una classe politica che ha il coraggio di
muoversi su scala regionale in maniera vincente.
Ma lei, da esperto militare, saprà bene che non si
possono guardare solo le cifre. Certo, come PIL nominale l’Italia è
anche più forte della Turchia. Ma la Turchia ha una coesione morale, una
vitalità popolare, un entusiasmo che mancano all’Italia, un paese
declinante sotto molti punti di vista. Ecco perché ci servirebbe
un’alternativa all’UE, se non vogliamo più restarvi o se dovesse
crollare nostro malgrado. Dove trovarla? Forse proprio in un asse
mediterraneo con la Turchia, per gestire ed arrangiare congiuntamente il
nuovo volto del nostro mare?
Non è necessario uscire dall’Europa ma mettere in discussione
questo tipo d’Europa, puntando senza compromessi a garantire i nostri
interessi nazionali specie nell’area mediterranea. Non possiamo
diventare un lander sgangherato della Germania, o un “territorio
d’Oltremare” francese. Ci manca purtroppo una classe politica capace di
decisioni forti.
Fonte: www.stampalibera.com
Fonte: www.stampalibera.com
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