di Michele Paris
Un tribunale
federale americano ha emesso qualche giorno fa un’importantissima
sentenza nell’ambito di una fuga di notizie dalla CIA, gettando una
nuova lunga ombra sulla garanzia della libertà di stampa negli Stati
Uniti. La vicenda che ha portato venerdì all’inquietante verdetto ha
infatti imposto ad un noto giornalista del New York Times di
testimoniare nel processo contro la fonte interna al governo di una
rivelazione che lo stesso reporter aveva raccontato in suo libro
dedicato alle questioni della sicurezza nazionale.
Tre giudici
della corte d’Appello per il “Quarto Circuito” di Richmond, in Virginia,
hanno in sostanza stabilito che il Primo Emendamento della Costituzione
americana - che garantisce, tra l’altro, la libertà di parola e di
stampa - non può essere applicato ai giornalisti che ottengono notizie
riservate e la cui diffusione non è stata autorizzata dall’autorità di
governo. I giornalisti, perciò, possono essere costretti a testimoniare
contro le persone sospettate di avere rivelato loro le informazioni in
questione.
Nella sentenza, i due giudici di maggioranza hanno
scritto che “chiaramente, un resoconto diretto e di prima mano da parte
di [James] Risen sulla condotta criminale oggetto di indagini di un
Grand Jury non può essere ottenuto con mezzi alternativi, dal momento
che Risen è indubitabilmente l’unico testimone in grado di offrire
questa fondamentale testimonianza”.
James Risen è un giornalista premio Pulitzer del New York Times
ma la vicenda in cui è coinvolto riguarda esclusivamente il suo volume
“State of War” del 2006, in un capitolo del quale raccontava come la CIA
durante l’amministrazione Clinton avesse cercato di ingannare gli
scienziati iraniani, spingendoli ad accettare da un doppio agente russo
un progetto per un meccanismo di innesco nucleare appositamente
alterato.
L’autore della rivelazione era stato individuato nel
dicembre del 2010 nell’ex agente della CIA Jeffrey Sterling, prontamente
incriminato dall’amministrazione Obama secondo il dettato
dell’Espionage Act, la legge reazionaria del 1917 che il governo USA
avrebbe successivamente utilizzato per accusare Bradley Manning e Edward
Snowden. Contro Sterling, lo stesso Risen sarà ora costretto a
testimoniare di fronte ad un Grand Jury, anche se il giornalista ha
affermato di essere disposto ad andare in carcere piuttosto che rivelare
la propria fonte o, quanto meno, di portare il proprio caso fino alla
Corte Suprema degli Stati Uniti.
Sul caso Risen si era espressa
nel 2011 una corte federale di primo grado, la quale aveva
opportunamente limitato il potere dell’esecutivo nel richiedere ad un
giornalista l’identità delle proprie fonti riservate. Secondo
l’amministrazione Obama, tuttavia, non esisterebbe alcun diritto alla
riservatezza garantito dal Primo Emendamento in casi simili ed ha quindi
fatto appello, ottenendo la sentenza favorevole di venerdì scorso.
L’interpretazione
proposta dalla corte d’appello mette così in grave pericolo il
principio della riservatezza delle fonti giornalistiche e rappresenta un
altro passo verso la totale criminalizzazione dei cosiddetti
“whistleblowers”, coloro cioè che forniscono un servizio di inestimabile
valore all’opinione pubblica, rivelando alla stampa le malefatte e i
crimini del governo a cui essi hanno assistito. Queste fonti,
oltretutto, dovrebbero essere teoricamente protette dalla legge, come
stabilisce il “Whistleblower Protection Act” del 1989.
Per
l’amministrazione Obama, al contrario, la protezione della legge deve
essere garantita solo a coloro che all’interno del governo si sono
macchiati dei crimini esposti, mentre per quanti mettono a rischio la
propria carriera se non addirittura la libertà o la vita per rendere
noti questi stessi crimini, vengono riservati procedimenti giudiziari,
ma anche torture - come è accaduto a Manning - e misure estreme per
metterli a tacere, come nel caso di Snowden.
La sentenza di
venerdì fissa dunque un precedente preoccupante per la libertà di
informazione negli Stati Uniti che, assieme allo sforzo senza precedenti
per mettere le mani su Edward Snowden e alla corte marziale in atto
contro Bradley Manning, intende scoraggiare future fughe di notizie
sulle attività illegali del governo.
Teoricamente, la decisione
della corte d’Appello di Richmond avrebbe effetto soltanto all’interno
del “circuito” sul quale essa esercita la propria giurisdizione. Se
anche così fosse, però, l’autorità di questa corte copre stati come
Maryland e Virginia, dove si trovano istituzioni come il Pentagono, la
CIA e la National Security Agency (NSA), all’interno delle quali viene
elaborata e messa in atto la grande maggioranza delle azioni illegali di
cui si macchia il governo, con effetti su tutti gli Stati Uniti e non
solo.
La
sentenza che ha accolto l’appello del Dipartimento di Giustizia
contribuisce infine a smascherare il vero significato della decisione
presa recentemente dal ministro Eric Holder in risposta agli scandali
che hanno coinvolto in questi mesi l’amministrazione Obama, tra cui la
notizia dell’intercettazione segreta delle comunicazione telefoniche di
decine di giornalisti dell’Associated Press nell’ambito di un’indagine sulla rivelazione di una notizia riservata relativa ad un attentato terroristico sventato.
Secondo
i principali media d’oltreoceano, le nuove “linee guida” adottate dal
governo una decina di giorni fa servirebbero a ridurre
significativamente le circostanze nelle quali le informazioni ottenute
dai giornalisti possono essere requisite. In realtà, come dimostrano i
procedimenti giudiziari ai danni di un numero record di “whistleblowers”
avviati dal 2009 ad oggi e l’appello contro la sentenza di primo grado
nel caso del giornalista James Risen, l’amministrazione Obama non ha
alcun interesse nella difesa della libertà di stampa.
Infatti, le
direttive del Dipartimento di Giustizia non fanno altro che stabilire
limiti ingannevoli alle facoltà del governo, confermando il potere di
controllare e limitare la libertà di stampa ogniqualvolta vengano
rivelate informazioni riservate, la cui provenienza debba essere
individuata ai fini di un’indagine su questioni considerate “essenziali”
per la sicurezza nazionale.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5589-usa-il-bavaglio-alla-stampa.html
Fonte: altrenotizie.org
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