« Ogni giorno di più mi convinco che lo sperpero della nostra esistenza risiede nell'amore che non abbiamo donato. L'amore che doniamo è la sola ricchezza che conserveremo per l'eternità »

GUSTAVO ADOLFO ROL



mercoledì 7 marzo 2012

Gli USA e la “non storia” delle genti del Vietnam

Premessa: La Dow AgroScience ha avuto il coraggio di chiedere al governo federale la legalizzazzione dell' agente Orange come meglio descritto nel blog eliotroporosa dell'amica Rosa che saluto.
Zak

Se il tenente generale dell’Esercito ed ex sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti, William G. Boykin, se ne fosse rimasto a fare il pensionato, sarebbe ricordato come un militare che è stato presente sui teatri di guerra più importanti degli ultimi quarant’anni, oppure come il comandante di quell’US Army Special Operations Command che scatena i Rangers.  Invece egli rischia di passare alla storia come un predicatore con le stellette, figura non nuova nell’US Army, ma certamente rarissima con un curriculum come il suo. E’ dal 2007, anno in cui è andato in pensione, che il tenente generale Boykin è professore con il preciso compito di insegnare agli studenti dell’Hampden-Sydney College in Virginia, «a pensare in modo critico e a comunicare in modo efficace».
E’ una docenza che s’è conquistato sul campo, fin da quando (2003) era sottosegretario alla Difesa e comandante della struttura d’intelligence della Delta Force alla quale era stato affidato il compito di catturare Osama bin Laden e Saddam Hussein con tutti i suoi consiglieri. Molto aveva influito l’aspetto cipiglioso con il quale egli infiocchettava ogni sua dichiarazione che turbava la serenità dei giornalisti di tutto il mondo presenti alle sue conferenze stampa.
 
Infatti, non era cosa di tutti i giorni sentire un generale affermare che il suo massimo impegno era la lotta “contro Satana” e spiegarne il perché. «Sono consapevole – diceva – che il nostro Dio è il più grande, è il vero Dio, mentre quello dell’avversario è soltanto un idolo. Lo affermo con il cuore sereno poiché non mi ritengo né un fanatico né un estremista, ma soltanto un soldato con una fede profonda».
Naturalmente non era il solo dell’entourage di George W. Bush che la pensasse così. In quegli anni altri personaggi altrettanto autorevoli sciorinavano dichiarazioni simili, amplificate puntualmente dai media americani. Tuttavia, sebbene nel seguito del Presidente ci fossero diversi rappresentanti della chiesa evangelica tutti accomunati, come Bush, da un rinnovato fervore religioso, nessuno esternava “in modo così efficace” come il tenente generale William G. Boykin.
Un personaggio che sarebbe apparso davvero lunare se non si sapesse che la fede, plasmata da quattro secoli di prediche dei pastori delle Chiese e dei tanti movimenti religiosi, è stata (e lo è ancora) uno degli elementi fondamentali della formazione dell’identità americana. Infatti, è la nazione di gran lunga più praticante di quanto lo siano quelle degli altri paesi industrializzati, almeno così sostengono numerosi osservatori.
In un mondo nel quale la cultura e la religione diventano il pretesto su cui si forgiano alleanze, patti, antagonismi e guerre tra le genti di ogni continente, gli americani (o per essere più esatti quella maggioranza che aveva votato Bush e che ora sostiene Newt Gingrich o Mitt Romney, candidati alle prossime presidenziali), imperterriti si forgiano col “The Creed”, il Credo, dentro il quale si amalgama l’origine cristiana, la lingua inglese, il rule of law, la responsabilità dei legislatori, i diritti del singolo e tutti quegli elementi spiccatamente protestanti come la fede nella capacità e nel dovere dell’uomo di provare a creare un paradiso in terra; o, come viene detto in ambienti evangelici, “a city on the hill”, una città sulla collina. Insomma parlando fuor di metafora il “The creed” americano è come una sorta di Bauernfrühstück, la colossale omelette ripiena di legumi, verdure e patate che i tedeschi amano servirsi a colazione.
Se si tiene a mente questo scenario meglio si capisce lo slancio del tenente generale William G. Boykin nel volersi dedicare al delicato compito del docente. Beninteso, non è il suo l’unico esempio in tutti gli Stati Uniti, anzi. Ma serve a meglio spiegare un aspetto importante della società americana, poiché l’Hampden–Sydney College, che inaugurò il suo primo corso di studi il 10 novembre del 1775 (avete letto bene), e ospita ben 1106 studenti (solo maschi) provenienti da “30 states and several foreign countries”, si pubblicizza con corsi di studio esclusivi e perciò speciali.
Come il programma Honors «progettato per lo studente che ha dato prova di un alto grado di curiosità intellettuale, indipendenza di pensiero, entusiasmo per l’apprendimento e la conoscenza e che si adopera con il dialogo a tirar fuori il meglio dai suoi compagni e dai suoi insegnanti». Tuttavia nel corso di studi di quest’anno non si stimola la “curiosità intellettuale” con l’analisi di un evento di grande significato umano, come lo è stato – esattamente nel febbraio di cinquant’anni fa – la decisione del presidente Kennedy di autorizzare la guerra chimica nel Vietnam del Sud che presto si rivelò «l’aggressione più micidiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale», come sentenzia Noam Chomsky nel suo recente articolo “Anniversaries From “Unhistory”.
Con il quale precisa che «il presidente Kennedy autorizzò la guerra  chimica per distruggere le coltivazioni e ridurre alla resa le popolazione ribelle. Con il risultato che milioni di contadini furono costretti a vivere nei tuguri urbani e in veri e propri campi di concentramento, i così detti “Villaggi Strategici“».
Naturalmente, sulla tragedia vietnamita non incombe il silenzio soltanto sul College della Virginia, ma – si è detto – su tutti gli Stati Uniti. Il giudizio non è esagerato poiché un intellettuale attento come l’americano Chomsky il silenzio lo coglie, e  titola il suo articolo “Anniversari della non storia” suggerendo che, siccome «George Orwell coniò l’utile termine “non-persona” per le creature alle quali si nega lo statuto di persona perché non si piegano alla dottrina dello Stato, si potrebbe  aggiungere il  termine “non-storia” per indicare il destino delle non-persone espurgate dalla Storia per motivazioni del tutto simili a quelle elencate da Orwell».
La “non storia” delle genti del Vietnam narra che tra il 1962 e il 1963, agli albori della “guerra americana” (così l’hanno poi definita gli storici vietnamiti), si svolse l’Operazione Ranch Hand, la campagna pianificata di defoliazione delle foreste pluviali nella regione della foce del Mekong. Gli aerei e gli elicotteri dell’US Air Force sparsero erbicidi e defolianti (il micidiale l‘Agente Orange ), non soltanto sulla giungla, ma pure sui campi coltivati che – secondo la Cia – fornivano cibo ai vietcong, ignorando che già in quegli anni per l’approvvigionarsi essi avevano scavato una lunghissima serie di gallerie, che passeranno alla Storia col nome di “Sentiero di Ho Chi Minh”.
All’inizio del 1965 si stimò che in quattro anni di guerra erano stati uccisi 89 mila vietnamiti, ai quali vanno aggiunti altri 66 mila (1957-1961): tutti vittime delle bombe, «del peso schiacciante dei blindati, del napalm, dei jet d’assalto e dei gas per stimolare il vomito», come ha scritto Brendan Wilcox in “Scorched Earth”, “Terra bruciata”, il suo ultimo libro (2011) sugli effetti devastanti della guerra chimica. E’ una realtà che un testimone diretto, lo storico militare Bernard Fall (non certo un pacifista come Brendan Wilcox) aveva previsto: «La campagna – scrisse – sta letteralmente morendo sotto i colpi del più grande macchinario bellico che si sia mai avventato su un’area di queste dimensioni».
L’ufficialità non smentisce quegli eventi. Nell’ultimo rapporto del Congresso americano (25 Luglio 2011), si legge che: dal 1961 al 1971, 19 milioni di galloni ( circa 72 milioni litri) di 15 differenti erbicidi, inclusi i 13 milioni di galloni ( circa 49 milioni litri) dell’Agente Orange, sono stati versati sulle regioni del Vietnam del Sud. Molti di quegli erbicidi, Agente Orange incluso, contenevano diossina.
Si stima che dai 2 milioni e cento mila ai 4 milioni e ottocento mila vietnamiti erano presenti durante le “irrigazioni” con l’Agente Orange e altri erbicidi. Ancora troppa gente vive in realtà contaminate e si nutrono con cibi infetti. Infine che moltissimi figli delle persone contaminate soffrono di malattie e di malformazioni.  Oggi in Vietnam ci sono ancora decine le aree nelle quali coltivazioni, terreni, fauna selvatica sono avvelenati dalla diossina. Dagli effetti dell’Agente Orange dipende la sorte degli uomini e delle donne in Vietnam e dei veterani negli Stati Uniti. La vita di molte persone s’è accorciata, altre la consumano nella malattia, nella disabilità, nella disperazione.
Accade sovente che non venga riconosciuta ai veterani l’invalidità da avvelenamento con la diossina, e quindi sono privati delle cure mediche, delle medicine e di tutto quello che rientra nell’assistenza pubblica o nei  loro contratti con le compagnie di assicurazione. Anche questa è una “non storia” come direbbe Chomsky che leggono soltanto delle ristrette minoranze. Le grandi masse sono sospinte in ogni angolo di distrazione mediatica. Tutto viene escogitato pur  di mantenere immutata – urbi et orbi – l’immagine di superiorità sociale ed economica che la “city on the hill” inalbera.
E’ questa miscela di credenze religiose, di valori anglo-protestanti, di un militarismo vissuto e praticato, che le grandi lobby della Finanza incoraggiano e sostengono, e che il governo si adopera con ogni mezzo a diffondere. Insomma, quanto basta per ispirare le “grandi” menti come quella del politologo Samuel Huntington, che scrive: «I governi dei Paesi musulmani avranno rapporti probabilmente sempre meno amichevoli con l’Occidente e tra gruppi islamici e società occidentali si verificheranno di tanto in tanto scoppi di violenza ora contenuti ora anche molto intensi».
A infondere nuova linfa a personaggi come il tenente generale Boykin bastano invece i secchi ordini del Pentagono, della Cia, persino dei figli d’Israele. Stando così le cose non c’è dubbio che i “buoni soldati” si troveranno sempre. Dopo tutto John Kennedy non andò, (come si usa dire) tanto per il sottile: «Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per dimostrarla», rispose a James Reston, il mitico direttore del New York Times. Era il 12 giugno del 1961. Dopo dieci mesi autorizzò l’impiego dell’Agente Orange. Obama ci sta provando ora con i droni, gli aerei senza pilota.
di Vincenzo Maddaloni
Articolo segnalato a Nuovediscussioni-SudTerrae dall'autore Vincenzo Maddaloni
tratto da: nuovediscussioni

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