« Ogni giorno di più mi convinco che lo sperpero della nostra esistenza risiede nell'amore che non abbiamo donato. L'amore che doniamo è la sola ricchezza che conserveremo per l'eternità »

GUSTAVO ADOLFO ROL



mercoledì 27 aprile 2011

IL NUOVO ORDINE MONDIALE ALL’ATTACCO DELL’ISLAM

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Palpitante alla fine del 2010 e ormai in ebollizione dal 2011, il mondo musulmano conosce dei cambiamenti che hanno preso di sorpresa le diplomazie di tutti i continenti. Manifestazioni di massa scuotono le strutture politiche ereditate dalla Seconda Guerra mondiale o dalla decolonizzazione. In un contesto di povertà diffusa e di corruzione generalizzata, le folle sunnite e sciite esigono cambiamenti radicali. Democrazia, elezioni libere, una maggiore libertà dei media ed altri elementi propri allo sviluppo dell’uomo devono ormai disciplinare le strutture politiche musulmane. Tali rivendicazioni non possono che soddisfare i leaders e le opinioni pubbliche delle nazioni europee e americane. 
Tuttavia, questa rappresentazione idilliaca deve essere vista in termini di realtà politica. In effetti, la “commedia umana”, cara ai romanzi di Honoré de Balzac, ci insegna che i grandi avvenimenti sono sempre il frutto di azioni di un’élite. Le masse sono sempre state utilizzate come uno strumento in favore di una politica ben definita. “Agitare il popolo prima di servirsene”, come amava ricordare il diplomatico Charles-Maurice de Talleyrand, che di queste cose se ne intendeva.

 
 
L’architettura generale del Nuovo Ordine Mondiale in preparazione
Per meglio comprendere gli sconvolgimenti in corso nei paesi musulmani, dobbiamo passare dal generale al particolare. In effetti, lo sfondo dietro tutti questi avvenimenti risiede nello sviluppo di un nuovo ordine mondiale che è più che un’ideologia; è una fede, una mistica. Si tratta di favorire ovunque l’emergere dei blocchi continentali europeo, africano, nordamericano o sudamericano politicamente unificati e poggianti su leggi comuni. L’insieme di tali blocchi deve costituire l’architettura generale di un governo mondiale che riunisce un’umanità indifferente e nomade. Questa politica prende già forma con la creazione di un’assemblea parlamentare mondiale in seno alle Nazioni Unite [1], sotto la direzione del tedesco Andreas Kummel [2]. Una valuta mondiale deve strutturare l’insieme. Il FMI ha già perorato la causa in favore di una moneta globale (il Bancor) governato da una banca centrale mondiale (Accumulo di Riserve e Stabilità Monetaria Internazionale) [3]. Questo implica l’abbandono del dollaro e una riforma completa del sistema finanziario mondiale.
Tuttavia questa torre di Babele può essere innalzata solo a condizione di imporre una uniformità di spirito. Un’unità di pensiero, di riflessi psicologici comuni, uno spirito consumista e un edonismo sfrenato devono codificare il funzionamento profondo dell’animo umano. Ora, in questo affare, l’Islam non rientra nella configurazione presentata. Questa opposizione è rafforzata da una caratteristica dell’Islam, in rapporto al mondo occidentale. Infatti, i paesi generati dai resti della civiltà cristiana si basano sulla distinzione tra il potere temporale e quello spirituale. Tuttavia l’Islam non condivide questa caratteristica che fonde le due parti. L’Islam è allo stesso tempo una fede e una legge. E’ per tale ragione che la società civile, per esempio, non è mai potuta nascere in terra islamica. Questa presentazione dei fatti è indispensabile da sottolineare perché permette di comprendere che questi due mondi sono su binari paralleli di civiltà.
All’indomani della caduta del muro di Berlino, le élites anglosassoni hanno premuto sull’acceleratore, permettendo la creazione di una Unione Europea assoggettata ai loro interessi [4], in collaborazione con la Germania [5]. Questa Unione Europea dovrebbe, teoricamente entro il 2015, costituire un parternariato transatlantico totale [6] con il nuovo mondo, chiamato ad unificarsi esso stesso nell’ottica di una unione nordamericana [7], secondo le voci del Council on Foreign Relations (CFR) [8]. Tuttavia, di fronte alla crescente potenza del mondo asiatico, in primis cinese, Londra e Washington vogliono assicurarsi il controllo completo degli idrocarburi provenienti dai paesi del sud- mediterraneo e del Vicino Oriente.. L’indipendenza acquisita del Sudan del sud con il sostegno interessato degli anglosassoni si spiega in ragione delle ricche riserve petrolifere che, ormai, sfuggono a Pechino. Questa politica rivolta all’Africa del nord e del Vicino Oriente fu appoggiata nel 1995 dall’Unione europea che ha avviato il “Processo di Barcellona” [9]. L’obiettivo ufficiale era:
1) la definizione di uno spazio comune di pace e stabilità;
2) la costruzione di una zona di prosperità condivisa con l’instaurazione progressiva di una zona di libero scambio; infine
3) la riconciliazione tra popoli.
In ragione dei risultati poco convincenti, la Commissione Europea ha allungato il passo nel 2003 lanciando la “Politica Europea di Vicinato” (PEV) [10]. Quest’ultima consiste nell’imporre ai paesi affacciati sul Mediterraneo del sud il modello euro-atlantista presentando loro tutta una serie di standard integrativi: economia di mercato, rispetto dei diritti dell’uomo o, ancora, lo stato di diritto. Nello spirito dei progettisti europei, norme comuni devono costituire la base per tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo. Una integrazione completa deve portare all’unione di un Occidente “civilizzato” con un Oriente “complicato”. In effetti, al microscopio, ciò che ci viene proposto è il tentativo di restaurare l’Impero Romano saldato ad un’escrescenza geografica nordamericana. In materia di integrazione, le parole della PEV sono molto chiare. Affermano: “Il concetto ancorato nella politica europea di vicinato è quello di un cerchio di paesi che condividono valori ed obiettivi fondamentali dell’UE e che si impegnano in un rapporto via via più stretto e che va al di là della cooperazione, vale a dire che implica un livello di integrazione economica e politica importanti” [11].
In ragione di tali dinamiche fu decisa, nel 2007, la creazione di un’Unione per il Mediterraneo, sotto l’impulso del presidente francese Sarkozy. L’obiettivo ufficiale era di rafforzare e accelerare il processo di integrazione delle due sponde del Mediterraneo. Tuttavia, il progetto fu fondamentalmente ridisegnato sotto la pressione della Cancelliera Merkel sostenuto dalla Fondazione Bertelsmann [12]. In effetti, in ragione del crescente peso della Germania nell’Europa centrale ed orientale, le autorità francesi hanno cercato di controbilanciare tale tendenza creando una sorta di Mitteleuropea sud-mediterranea sotto l’esclusiva influenza della Francia. Nella prima bozza dell’Unione erano inclusi solo i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Fiutando nell’aria una politica volta a creare zone di influenza contrarie ai suoi interessi, Berlino ha chiesto ed ottenuto che tutti i paesi UE partecipino a tale Unione per il Mediterraneo. Come ha chiaramente precisato la Cancelliera:
“Se, per esempio, costruiamo un’Unione per il Mediterraneo che veda la sola partecipazione degli Stati affacciati sul Mediterraneo con strumenti finanziari dell’Unione Europea, lo dico chiaramente, altri diranno: dobbiamo mettere in piedi una Unione dell’Europa dell’Est con, per esempio, l’Ucraina (…). Allora succederà qualcosa che ritengo pericoloso. Potrà essere che la Germania si senta più interessata dai paesi dell’Europa centrale e orientale mentre la Francia si giri verso il Mediterraneo. Ciò rivelerebbe delle tensioni interne che non vorrei. Perciò bisogna essere chiari: la responsabilità ad affacciarsi sul Mediterraneo riguarda un europeo del Nord allo stesso modo in cui i confini futuri di Russia e Ucraina riguardano i paesi affacciati sul Mediterraneo. Se non arriviamo a fermare questo movimento, allora l’Unione Europea, a mio avviso, ritornerà al suo stadio primitivo (…)” [13].
Il presidente Sarkozy si è chinato permettendo alla Germania, principale contribuente finanziario europeo, di prendere due piccioni con una fava: mantenere la sua influenza nell’Europa dell’Est in espansione e rinforzare i suoi legami con il sud-Mediterraneo. Ormai battezzata “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”, questa vittoria tedesca è stata il 1870 della diplomazia francese.
La distruzione pianificata
In realtà, il lancio ufficiale della politica di destrutturazione dello stato e della civiltà dei paesi musulmani dal Marocco all’Afghanistan può essere datato indietro al 7 febbraio 2004. Infatti, alla 40esima Conferenza di Monaco sulla politica di sicurezza sotto l’egida della NATO [14], Joschka Fischer, Ministro degli affari esteri del Cancelliere Schroeder, ha presentato un vero e proprio programma politico da applicare ai paesi musulmani insieme agli Stati Uniti. Portavoce dei lavori di differenti think-tanks americani (Rand, Carnegie Endowment, National Endowment for Democracy…) [15] o tedeschi (Fondazione Bertelsmann,…) [16], Joschka Fischer ha richiamato la necessità di una “strategia comune” euroamericana in due punti:
1)l’avvio di un processo comune mediterraneo della NATO e dell’Unione Europea;
2) una “Dichiarazione per un futuro comune” per tutti i paesi del Vicino e Medio Oriente.
A parte l’imposizione di riforme che coinvolgono i settori politico, economico e militare nell’immagine dei paesi del blocco euro atlantico, il ministro tedesco ha proposto una revisione completa del sistema giuridico, educativo e sociale, la creazione di ONG e lo sviluppo della società civile, del dialogo interreligioso, la promozione dei diritti umani in generale e della parità tra uomo e donna, in particolare per l’intero mondo musulmano. Tutte queste misure devono, secondo l’espressione dello stesso ministro, favorire “l’integrazione delle loro economie”, il tutto basato “sulla convinzione che la modernizzazione del Vicino Oriente allargato sarà decisiva per la nostra comune sicurezza nel XXI secolo. Rendere partecipi le popolazioni del Vicino e Medio Oriente nelle conquiste della globalizzazione è dunque il nostro interesse più grande”.
Queste misure rivoluzionarie destinate a fondere il mondo musulmano in principi euro atlantici e globalismi fu confermato, il 27 febbraio 2004, in occasione della firma dell”Alleanza tedesco-americana per il XXI secolo” [18] a Washington tra il Cancelliere Schroeder e il Presidente Bush. Oltre a ricordare le misure proclamate a Monaco di Baviera, si afferma chiaramente che: “Dobbiamo costruire un vero e proprio partenariato che leghi Europa ed America ai paesi del Vicino e Medio Oriente per lavorare insieme con i paesi e i popoli di tali regioni in un’ottica che permetta di raggiungere obiettivi comuni e di vivere pacificamente gli uni accanto agli altri (…)”.
In effetti, tali affermazioni sposano perfettamente gli obiettivi della politica del “Grande Medio Oriente” lanciata dall’amministrazione Bush, ormai ribattezzata “Nuovo Medio Oriente” (New Middle East) sotto l’ala del presidente del CFR Richard Haass, nella rivista Foreign Affairs nel 2006 [19]. Questa cooperazione euro-americana è particolarmente significativa perché si riflette nel lavoro della Fondazione Bertelsmann che ha sviluppato una doppia politica, verso Israele come verso il mondo musulmano. In un primo tempo, nell’ottica di un “dialogo tedesco-ebraico” [20], si tratta di integrare Israele nell’architettura politica, economica e militare euro-atlantica. Lo stato ebraico deve costituire un pilastro del giudaismo in associazione con altri due pilastri: il giudaismo europeo ed americano. In una fase successiva, tale politica può concretizzarsi solo riuscendo a stivare il mondo musulmano all’interno di tale costruzione geopolitica. E’ la scommessa delle “Discussioni di Kronberg” [21] che, dal 1995, permettono dialoghi tra euro-americani ed élites musulmane per incoraggiare queste ultime ad adottare i principi politico-filosofici degli euro-atlantici nelle strutture interne dei paesi del nord Africa e del Vicino Oriente. Tuttavia queste discussioni inciampano a causa della fusione tra spirituale e temporale propria dell’Islam. Ed è lì che le autorità americane si sono in qualche modo tradite.

Il Vaticano II dell’Islam
Nel giugno 2006 un articolo intitolato “Frontiere di sangue” firmato Ralph Peters e pubblicato sulla rivista militare americana AFJ (Armed Forces Journal), ha presentato una mappa che ricomponeva il Vicino Oriente su base etnica e religiosa [22]. Tutti questi paesi hanno visto stravolte le loro frontiere. Infatti l’autore si ispira in gran parte al lavoro dell’islamologo britannico vicino a Zbigniew Brzezinski (consigliere del Presidente Obama), Bernard Lewis. Quest’ultimo è l’autore dell’espressione “Scontro di civiltà[23] ripreso con successo da Samuel Huntington. Per Bernard Lewis si tratta di balcanizzare il mondo musulmano per creare mini-stati petroliferi più facili da controllare. Un modello di ristrutturazione chiamato “Arco di crisi” è stato presentato nella rivista “Time” nel gennaio del 1979 [24]. Questa ristrutturazione completa dei confini poggia sul principio del “Divide et Impera”. Tuttavia dietro l’aspetto politico-economico, la mistica globalista attacca il cuore del mondo musulmano su un punto trascurato dalle nostre società materialiste. Infatti la nuova carta presenta un rimaneggiamento rivoluzionario: uno “Stato Sacro Islamico” che raggruppa Medina e La Mecca in seno ad un’Arabia Saudita completamente disarticolata e la cui frantumazione avrebbe fatali conseguenze sull’economia mondiale (grandi difficoltà di approvvigionamento del petrolio) e sulla stabilità del dollaro. Come ha precisato l’autore:
“La causa principale della grande stagnazione del mondo musulmano risiede nel trattamento riservato a La Mecca e Medina, considerate come loro feudi dalla famiglia Saudita. Il controllo della polizia dei luoghi santi dell’Islam da parte di uno dei regimi più bigotti ed oppressivi al mondo, ha permesso ai Saoud (la famiglia regnante in Arabia) di proiettare il loro credo wahabita intollerante e indisciplinato al di là dei loro confini (…). Immaginate come il mondo musulmano si sentirebbe meglio se La Mecca e Medina fossero dirette da un Consiglio rappresentativo delle principali scuole e movimenti dell’Islam nel mondo, in seno ad uno Stato Sacro Islamico – una sorta di super Vaticano musulmano – dove il futuro della fede possa essere discusso invece di essere determinato arbitrariamente” [25].
Infatti, parlare di integrazione del mondo musulmano verso l’asse euro atlantico e verso i principi del nuovo ordine mondiale significa che ciò può essere fatto solo modificando radicalmente i loro riferimenti religiosi e, per estensione, politici, economici, sociali e psicologici. La mistica globalista vuole imporre il suo battesimo permettendo la nascita di un panteismo. La creazione di uno “Stato Sacro dell’Islam” e di un “Consiglio rappresentativo “ in grado di cambiare la religione dall’interno, corrisponde alla creazione di un Vaticano II dell’Islam. Per ricapitolare, i precetti della Chiesa Cattolica erano incompatibili con la doxa globalista, pertanto fu necessario favorire un aggiornamento completo con il Vaticano II (1962 – 1965), per permettere ai successori di San Pietro di sottomettere la dottrina cattolica all’ideologia globalista, nell’ottica di un’Agape inversa e celebrata nel Tempio delle Nazioni Unite. Lo ha affermato in modo inequivocabile Papa Giovanni XXIII il quale, nella sua Enciclica Pacem in Terris del 1963 [26], richiamava alla necessità di un “potere sovranazionale o mondiale” non imposto con la forza e che avrebbe permesso “l’istituzione di una organizzazione giuridico – politica della comunità mondiale”.
Questa affermazione fu ripresa da Benedetto XVI che non esitò ad incoraggiare l’umanità ad impegnarsi “nella creazione di un nuovo ordine mondiale”, nel suo messaggio di Natale nel 2005 [27]. Il Papa ha poi ribadito il suo impegno nell’Enciclica Veritas in Caritate del 2009, chiamando alla creazione di un’ “autorità politica mondiale” connessa all’ONU [28]. E’ lo stesso sforzo che attende i paesi musulmani se il progetto volto a destrutturare completamente le zone geografiche dal Marocco all’Afghanistan giunge al termine. Tale politica di dissoluzione e di ricomposizione deve promuovere le lotte tra sunniti e sciiti, tra musulmani e cristiani e portare ad un confronto brutale con il sionismo. Da questo magma in fusione, un “Islam del Lumi” dovrebbe teoricamente emergere dal caos generato dalla mistica globalista per essere integrato ai dogmi del governo mondiale. L’ora della verità è arrivata. Finalmente, gli autori di questo dramma dalle conseguenze incalcolabili (politiche, economiche, energetiche e di vite umane) seguono alla lettera i famosi versi del poema di Goethe “L’apprendista stregone”, che ricorda: “Gli spiriti che ho risvegliato non vogliono ascoltarmi”.
Pierre Hillard per Mecanopolis
Pierre Hillard è autore del “La marcia irresistibile del nuovo ordine mondiale”, edizioni Francois-Xavier de Guibert.

Note:
[2] Andreas Bummel, Internationale Demokratie entwickeln, Horizonte Verlag, 2005.
[4] Daniel S. Hamilton et Joseph P. Quinlan, Deep Integration, haw transatlantic markets are leading globalization, Center for Transatlantic Relations, 2005.
[5] From Alliance to coalitions – The Future of transatlantic relations, Bertelsmann Foundation Publishers, 2004.
[7] Robert Pastor, Toward a North American Community, Institute for International Economics, Washington, 2001.
Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di ALE BALDELLI
Pubblicato da Alba kan. a 12:45

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